Filosofia ed infanzia stanno pian piano avvicinandosi sempre più, sulla scia di una sempre più consapevole attenzione verso la crescita e la formazione di bambini e ragazzi. Sono molte infatti le iniziative rivolte ai più piccoli che vengono proposte e realizzate con l’obiettivo di offrire momenti di gioco, svago, apprendimento e riflessione volti ad arricchire il bagaglio di strumenti con i quali i bambini possono conoscere e scoprire il mondo e costruire se stessi.
Una nuova proposta fresca di stampa proviene da Roberta Gaion e Damiano Cavallin, autori del libro I perché di Arturo – Giochi Filosofici per bambini curiosi (Andrea Pacilli Editore, 2016). Illustratrice e scenografa la prima, insegnante il secondo, Roberta e Damiano hanno unito i loro disegni e i loro testi per dare vita ad uno strumento che può essere sfogliato, letto e guardato in mille modi! Da soli, con l’aiuto dei genitori o di un fratello più grande, in gruppo, in aula, I perché di Arturo si adatta alle situazioni più varie suggerendo ottimi stimoli di riflessione tanto per un momento soli con se stessi, quanto per l’ideazione di un’attività di classe.
Sono molte infatti le domande che Arturo, il giovane protagonista, si pone nel corso della sua giornata, relazionandosi con le esperienze che ha modo di fare, con il mondo che lo circonda, con il proprio istinto, con gli insegnamenti dei suoi genitori. Alcuni interrogativi riescono ad avere una risposta; altri invece rimangono sospesi, forse in attesa del parere e delle idee di qualche piccolo lettore! Buona lettura!
Roberta e Damiano, come è nata l’idea di realizzare questo libro?
L’idea di realizzare un libro rivolto ai bambini ci affascinava da diverso tempo, così il progetto grafico è nato spontaneamente, man mano che si strutturava il testo. Illustrare un libro di filosofia per l’infanzia non è semplice: significa infatti trovare un modo per raffigurare dei concetti intangibili, cercando di renderli chiari e accattivanti anche per un pubblico giovanissimo.
L’espediente che abbiamo adottato è stato quello di raccontare una giornata di gioco all’aria aperta di un bambino, anche se spesso quello che accade sembrerebbe aver poco a che fare con l’attività filosofica. Arturo si guarda allo specchio, mangia, corre in bicicletta a caccia di lucertole, si diverte, si annoia e, soprattutto, si fa molte domande. Arturo è un bambino “curioso” che cerca il significato delle sue azioni, anche quelle più banali.
Come avete scelto i tre temi presentati − il sé, il tempo, la giustizia − e perché li avete ritenuti centrali per il vostro progetto?
Abbiamo deciso di affrontare tre questioni che compaiono abbastanza presto nella mente del bambino: il tema dell’identità, dello scorrere del tempo e del bene e del male. Ci sembrava interessante perché si tratta di concetti che, durante l’infanzia, si presentano in forme profondamente diverse da quelle tipiche dell’età adulta. Un bambino può tranquillamente iniziare un discorso con suo padre dicendo: “quando io ero grande e tu eri piccolo”. Quale immagine del tempo e dell’identità nascondono, ad esempio, espressioni di questo tipo?
Avevate preso in considerazione anche altre tematiche?
In futuro ci piacerebbe toccare altre questioni, vicine alla filosofia della mente (Cos’è il pensiero? È reale quello che vedo? Cosa sono i sogni? Esistono gli altri?), alla filosofia della religione (Dio esiste? Da dove viene l’universo? Cos’è la morte?) o alla filosofia politica (Cos’è la libertà? Qual è la forma di governo migliore?), ma anche questioni attuali, legate ad esempio alla società multiculturale, all’ecologia o all’affettività.
A chi è rivolto il vostro libro?
Non abbiamo immaginato un’unica tipologia di lettore. Ci piacerebbe, infatti, che il libro venisse letto e sfogliato in gruppo, intrecciando così diverse fasce d’età. Da un lato, le pagine più narrative sono facilmente accessibili a bambini relativamente piccoli (dai 6 anni in poi); dall’altro, gli approfondimenti su filosofi, sociologi e scrittori puntano ad un’età più alta (almeno 10 anni). Anche un adulto potrebbe trovare, tra le righe, utili stimoli di riflessione.
In ogni caso, e non si tratta di un paradosso, ciò che è più importante in questo libro è proprio ciò che non poteva in alcun modo essere scritto, ovvero il dialogo vivo che ci auguriamo possa nascere tra i lettori e all’interno delle loro menti. Leggere è, soprattutto durante l’infanzia, un’attività plurale, che coinvolge sempre almeno due persone.
Negli ultimi anni si riscontra un maggiore interesse riguardo l’applicazione della filosofia in attività o in laboratori rivolti ai bambini. Secondo voi per quale motivo?
L’apertura della filosofia al mondo dell’infanzia si colloca all’interno di un movimento molto più ampio di proliferazione di attività e pratiche filosofiche al di fuori dei tradizionali ambienti accademici. Le cause sono indubbiamente molteplici e complementari. Per un verso si tratta di un’esigenza interna alla filosofia stessa: quando viene ristretta all’interno del rigido perimetro accademico, prigioniera di un lessico esoterico dietro il quale si cela talvolta il vuoto pneumatico, finisce inevitabilmente per inaridirsi. Da qui la necessità di riprendere nuovamente contatto con la vita, anche nelle sue forme più istintive e immediate. Contemporaneamente, l’estensione della filosofia è anche l’effetto di una richiesta che giunge dall’esterno: la progressiva riduzione dell’influenza della religione e il crollo delle ideologie politiche, hanno spinto gli individui a cercare altrove delle risposte al proprio bisogno di senso, aprendo così nuovi spazi per la filosofia.
Filosofia ed infanzia dunque non sono due mondi distanti ed incomunicabili?
Platone avrebbe vietato la filosofia ai minori. La filosofia può essere, infatti, tremendamente perturbante, insidiosa e pericolosa. Per questo, secondo Platone, andrebbe proposta solo a chi è già maturo, affinché non ne sia danneggiato e non finisca per farne cattivo uso. Non credo che questo pericolo vada sottovalutato; ma è al contempo innegabile che non esiste età in cui le più profonde domande esistenziali (Chi sono io? Che senso ha la vita? Cos’è il tempo? Esiste Dio?) vengano poste con così tanta urgenza e partecipazione emotiva come accade nell’infanzia e nell’adolescenza. E quando un bambino, con la sua spiazzante ingenuità, ci rivolge queste domande, se non vogliamo ignorarlo abbiamo solo due possibilità: offrirgli risposte precostituite e dogmatiche oppure invitarlo a pensare. Il che non significa, ovviamente, leggergli la Critica della ragion pura prima di andare a dormire. L’invito a pensare dovrà tenere conto delle specificità dell’infanzia, assumendo una forma più simile alla fiaba che al trattato. Ma, come proprio Platone ci ha insegnato, ci sono fiabe “filosofiche”, che accendono e alimentano il pensiero, e fiabe semplicemente menzognere o manipolatrici, che spesso non si raccontano solo ai bambini, ma anche agli adulti.
La scelta di avvicinare i bambini alla filosofia secondo voi nasce più da un bisogno naturale del bambino o dalla volontà degli adulti, genitori o educatori che siano?
Con un pizzico di autoironia potremmo dire che i filosofi, non sapendo più che lavoro inventarsi, data la loro crescente quantità e manifesta inutilità, hanno ben pensato di iniziare a fare concorrenza agli educatori (con la Philosophy for Children) e agli psicologi (con il Counseling filosofico). Due operazioni che hanno, innegabilmente, un chiaro fine commerciale. Il cinico, che guarda al filosofo con malizia, coglie senza dubbio una parte della verità. Ma la realtà è probabilmente più complessa. Certo, è difficile che un bambino chieda spontaneamente: “Per favore, oggi posso fare filosofia?”. È ovviamente molto più probabile che chieda: “Posso andare a giocare?”. Ma è anche evidente che molte delle domande che gli ronzano in testa hanno una marcata natura filosofica, anche se lui difficilmente ne è consapevole.
È davvero importante far riflettere “filosoficamente” i bambini oppure si possono ottenere gli stessi risultati attraverso altre pratiche o altre attività?
Il pensiero si sviluppa in molte forme e attraverso tante attività. Realizzare un piccolo esperimento scientifico fa crescere il pensiero. Osservare gli insetti con la lente di ingrandimento fa crescere il pensiero. Dipingere provando colori e materiali diversi fa crescere il pensiero. Si può quindi imparare a pensare anche senza fare filosofia. Ma la filosofia tocca corde diverse da quelle della scienza o dell’arte e rimane una palestra formidabile per esercitare il pensiero critico e razionale.
Federica Bonisiol