La pioggia batte sul vetro della stanza e il sole pallido di una giornata fredda riesce a stento a incorniciare il grigiore del cielo di gennaio. Se riuscissi a isolare completamente dagli altri rumori della casa il suono delle gocce che si infrangono sulla superficie cristallina del vetro, potrei forse comporre il ritmo di una canzone. Un suono che rappresenta il ripetersi costante di una quotidianità fatta di giornate che sembrano tutte identiche, nessuna rivelazione, nessuna illuminazione. Ogni mattina le domande rimangono lì, le risposte sono lontane e c’è solo la coscienza di non poterle mai raggiungere. Qual è il vostro rapporto con la realtà che vi circonda da quando vi svegliate a quando andate a dormire? Ho pensato che forse sono proprio quelle domande a muovere ogni mio sentire e che rappresentano in parte ciò che sono. Ho fatto spesso fatica ad accettarle e a volte convivere con loro ha creato un peso e una fatica che quasi non facevano respirare, procurandomi una vertigine interiore difficile da decifrare. In qualsiasi momento del giorno o della notte loro sono lì, si modificano negli anni, restando però pur sempre una certezza, una traccia indelebile del tuo essere. Si finge, si dissimula, ci si copre di un’immagine “altra”, perché in fondo basta un sorriso per far contento chi mi circonda, mi sono sempre detta. Oggi senza presunzione riesco a intravedere le sfumature che si celano dietro al sorriso di un volto, perché ad ogni ruga che compone l’espressione appartiene un’ intensità diversa del vivere.
‘Idealista’, ‘sognatore’ o il più delle volte ‘illuso’, ti hanno cercato di definire in mille modi diversi, ma tu hai sempre provato una necessità impellente di dire la tua, cercando di farlo in punta di piedi, senza fare troppo rumore, non accontantendoti mai delle certezze che ti venivano offerte e riconsiderando i tuoi stessi desideri a distanza di anni. Spesso questo movimento che parte dal pensiero e attraversa tutto il corpo, questo cercare incessante sembra quasi una ‘rincorsa’ infinita. Tante volte avresti voluto che quella sensazione di incertezza ti abbandonasse per un po’, perché sentivi solo peso e stanchezza. Sono ciò che comunemente definiamo ‘punti fermi’ a garantire una certa stabilità psicologica, ma proprio quando sentivi di averne bisogno realizzavi che non ti bastavano quasi mai, ti stavano troppo stretti, rendendoti vuoto, spento e inautentico. Oggi si guarda l’inquietudine come qualcosa da cui fuggire, una condizione interiore di cui aver paura. È proprio quel bisogno di ridefinire costantemente ciò che si è, invece, che conduce a un’apertura oltre i limiti dei sentieri noti. Forse anche tu ti sei spesso scontrato con chi crede invece che questa ricerca sia futile, perché le risposte ci sono già tutte, o chi invece non ha mai neanche sperimentato il tamburellare incessante di quelle domande. La poetessa Szymborska in C’è chi tratteggia una personalità che tutti abbiamo conosciuto almeno una volta nella vita:
C’è chi meglio degli altri realizza la sua vita.
È tutto in ordine dentro e attorno a lui.
Per ogni cosa ha metodi e risposte.
È lesto a indovinare il chi il come il dove e a quale scopo.
Appone il timbro a verità assolute,
getta i fatti superflui nel tritadocumenti,
e le persone ignote dentro appositi schedari.
Pensa quel tanto che serve,
non un attimo in più, perché dietro quell’attimo sta in agguato il dubbio.
E quando è licenziato dalla vita,
lascia la postazione dalla porta prescritta.
A volte un po’ lo invidio
per fortuna mi passa1.
Perfettamente integrato nel sistema e nella vita che conduce, il più delle volte è talmente sicuro di se stesso che appare estremamente invincibile, così intoccabile che niente può scalfirlo. È proprio questa corazza, la presunzione del non dover essere fragile, dell’apparire sempre ‘tutto d’un pezzo’, è ciò che spesso mi ha allontanato da persone così. Senza che razionalmente me ne rendessi conto, inevitabilmente finivo per perderle. Chi crede di aver in mano la ‘verità’, chi ancora prima di aprirsi all’interiorità dell’altro, confronta, disprezza e giudica. Un’armonia interiore soltanto apparente e ostentata, con la presunzione di riuscire a controllare ogni accadimento fuori e dentro di sé. Questo elogio è soprattutto per loro, perché la dimensione umana è ciò che più si allontana dall’ordine e ciò che si cela dietro a un apparente equilibrio è il più delle volte un baratro interiore, un vuoto nascosto che non si vuole riempire. L’inquietudine esistenziale forse non si può comprendere, ma non si può reprimere, perché è quel movimento che rivela il limite della dimensione umana e la costante spinta dell’uomo verso il suo superamento, l’apertura alla Trascendenza.
Greta Esposito
NOTE:
W. Szymborska, C’è chi, tratto dalla raccolta postuma “Basta così”, 2012
[Immagine tratta da Google Immagini]