Ieri sera, parlavo con Keba (Pranam) di Bukowsky. Il suo punto di vista era quello dell’innamorato: molto cuore poche ragioni. Mi ha stupito invece la mia presa di posizione: ok la poetica dello squallore, ok che ogni arte è figlia del suo tempo, va bene il nichilismo ma… e poi? e io in cosa credo? Cosa vale la pena di essere scritto? Il “SUCCESSO” dell’opera d’arte è merito dell’artista o del fruitore? E così, vittima degli effetti dell’alcol, senza troppa cura per una precisa analisi logico/storica della missione della poesia, mi trovo a pensare a Marco Marrone. E riesco finalmente a crearmi un’immagine da associare al concetto di CLASSICO. E riesco a trovare una poesia fuori dal suo periodo storico eppure così dentro all’esistenza, vecchia quanto la civiltà umana eppure mai sorpassata… ed inevitabilmente nasce in me la necessità di paragonare la mia arte a quello di questo ragazzo, amico, conosciuto per poche ore, conosciuto nell’intimità grazie alla poesia:
lo affianco
ci misuro
e se io ho bisogno d’essere del mio tempo
egli è di tutto il tempo
senza fianchi
e senza misure.
Gianluca Cappellazzo
LA SCALATA (di Marco Marrone)
Alla cornice della rocca fa ritorno
col segreto volo, il falco pellegrino,
risponde al rito delle prime ombre
e sulla cengia come principe si posa.
In lui t’imbatti nel valico serrato
e la vita qui s’incroda e si rintana
nell’attesa: tutta si disvela adesso
la sdrucciolevolezza di quegli anni.
Il vuoto che hai dinanzi ti seduce,
ma i miraggi son traditi dal nitore:
l’antica torre non era che una guglia
un desolato scheletro del monte.
Respinta è l’aderenza che tu cerchi
alla parete della rupe senza storia
e senza solchi.
L’appiglio che ti salva è la scoperta
che la natura tua e quella del monte
son la stessa.
Gianluca Cappellazzo
[Immagini tratte da Goolgle Immagini]