Incisione quanto mai attuale, quella di Francisco Goya, nel suo significato. Per rendersene conto basta riflettere su ciò che accade regolarmente nei nostri tempi, che esemplificherò tramite tre fatti − due di cronaca ed uno giudiziario − da poco successi.
Il primo è il caso di un uomo disabile annegato in un laghetto vicino alla cittadina di Cocoa, non distante da Orlando in Florida, il 9 luglio scorso. Il tutto è avvenuto sotto la luce di un gruppo di adolescenti, che lo filma ridendo ed aspettando che le sue disperate forze di sopravvivere terminino e scompaia sotto la superficie. In quello Stato non esiste il reato di omissione di soccorso: «“Ci abbiamo provato a cercare un modo per punirli, ma non esiste una legge nel nostro Stato che loro abbiano violato” ha spiegato Yvonne Martinez, portavoce della polizia. Jamel Dunn, la vittima di 31 anni padre e marito, ha gridato e chiesto aiuto […] Potevano chiamare il 911, sono invece rimasti a ridere tutto il tempo. Durante l’interrogatorio”, ha aggiunto Martinez, “in loro non c’era nessun rimorso, solo una risatina ironica”»1.
Queste parole fanno venire i brividi. Com’è possibile? Come si può non solo rimanere insensibili ma addirittura divertirsi alla vista di un uomo che affoga?
I prossimi due riguardano invece il nostro Paese.
Infatti, «Scadrà tra pochi giorni l’interdizione dai pubblici uffici scattata con le pene inflitte cinque anni fa ad alcuni poliziotti condannati dopo i fatti della scuola Diaz di Genova e la vicenda dell’introduzione nell’edificio delle false molotov durante il G8 del 2001. Alcuni sono già in età pensionabile, mentre altri potranno essere reintegrati. Tra questi l’ex capo dello Sco Gilberto Caldarozzi, l’ex dirigente della Digos genovese Spartaco Mortola e il funzionario di polizia Pietro Troiani mentre Massimo Nucera, il poliziotto che raccontò di aver ricevuto una coltellata, è già stato reintegrato»2.
Questi fatti si commentano da soli. Come si fa ad avere fiducia nelle istituzioni se è permesso che chi si è macchiato di questi reati − per non parlare di tutte le incredibili assoluzioni − possa tornare per strada?
Infine, leggendo il sito del Corriere della Sera, si scopre che una coppia omosessuale napoletana aveva prenotato on-line in un Bed&Breakfast calabrese ed inizialmente avevano concluso la prenotazione. In seguito avevano contattato tramite WhatsApp il proprietario per delle informazioni e ad un certo punto la risposta del titolare raggela chi la legge: “Non accettiamo gay e animali. Mi perdoni ancora”.
Delle tre quella che mi ha colpito più di tutte è stata forse quest’ultima, per un motivo ben preciso. Al tempo del Nazismo, in Germania, si era soliti leggere all’entrata dei negozi “vietato l’ingresso ai cani e agli ebrei”. La somiglianza fa riflettere.
Nel contemporaneo gli spunti di riflessione che abbiamo a disposizione sono praticamente infiniti: media, blog, social network, convegni, conferenze, dibattiti, mostre, musei e chi più ne ha più ne metta; eppure, sembra che alla costante crescita di disponibilità si accompagni un sempre maggiore disinteresse delle potenzialità. Ci concentriamo solo sull’aspetto superficiale dei social, condividiamo principalmente le notizie divertenti o curiose, snobbiamo la cultura e la releghiamo all’interno delle università, dei musei o di materie cui gli studenti rivolgono sempre meno interesse e ci nascondiamo quando durante un dibattito viene chiesta la nostra opinione.
È come se rifiutassimo l’idea che la nostra ragione sia un vaso da riempire con conoscenze, esperienze ed interessi. Rifiuto categoricamente il pensiero che il raziocinio sia una caratteristica innata, che abbiamo a disposizione come già data e immobile.
Piuttosto, essa è una capacità la cui base è presente dentro di noi ma che, come ogni capacità, per esprimersi, ha bisogno di un allenamento costante e di un impegno faticoso. Faticoso sì, perché pensare non è facile: mettere in discussione se stessi, le proprie opinioni e sicurezze è un lavoro duro e che necessita di tempo per dare i suoi frutti.
Ma nonostante le sue difficoltà è la caratteristica che più ci rende umani secondo Aristotele e − possiamo aggiungere − anche più felici.
La sua mancata espressione porta − a mio modo di vedere − alla nascita di umani che tanto umani non sono.
Come possiamo chiamare umani quei ragazzi che lasciano affogare un − questo sì − uomo? Come possiamo chiamare umani individui che per liberare la loro violenza massacrarono dozzine di − loro sì − uomini, donne, vecchi e ragazzi totalmente disarmati e innocenti alla Diaz? Come possiamo chiamare umana una persona che associa una coppia di − loro sì − uomini ai cani e nega loro l’entrata come all’epoca del Nazismo? E noi − uomini veri − vogliamo continuare a subire la non-umanità di altri e a trasformarci in essi o vogliamo coltivare la razionalità, vivere la cultura e sperimentare la morale?
Massimiliano Mattiuzzo
NOTE:
1. Il Messaggero.it, 22 luglio 2017
2. Il Mattino.it, 19 luglio 2017
[Immagine tratta da google immagini]