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La schiavitù delle donne

«Le donne che leggono, e ancor più quelle che scrivono, rappresentano nello stato attuale delle cose, una contraddizione e un elemento di disturbo: e si è sbagliato a coltivare nelle donne altre virtù che non fossero quelle di un’odalisca o di un’ancella»1.

Quando John Stuart Mill scriveva queste parole nell’opera La schiavitù delle donne, per criticare le condizioni che la società aveva creato su misura per le donne, aveva alle spalle una voce che gliele sussurrava, il cui nome è per lo più sconosciuto: quello della moglie, Harriet Taylor.
Questa timida e quasi anonima voce guidò la mano del marito nel tracciare uno dei testi più rivoluzionari sullo stato delle donne. Per far tremare i muri di una società, ispessiti dai secoli e dalle consuetudini, Harriet Taylor era consapevole che solo una penna di uomo avrebbe avuto quella forza demolitrice, e nulla venne trascurato: si scagliò contro la legge del più forte, contro il matrimonio forzato, un’educazione che non permetteva di progredire nelle scienze, ma che puntava a rendere ragionevole e persino appetibile la sottomissione. La voce di Taylor condusse la penna del marito oltre la semplice constatazione, per giustificare la fine della servitù femminile; perché non poteva bastare richiamare la loro intelligenza, il loro acume, la loro sensibilità. Taylor sapeva che tutto ciò non era sufficiente, e bisognava mettere in campo ben altri motivi: il progresso di una civiltà necessitava di maggiore forza intellettuale e delicatezza emotiva, e se ciò non fosse stato attuato il prima possibile, la società si sarebbe accartocciata su se stessa, rendendo gli uomini ancora più pigri e ottusi, e le donne stupide, incapaci di vedere al di là del proprio naso. Taylor era ben lucida a riguardo, e lo affidò alla scrittura leggera ed efficace del marito, John Stuart Mill, che divenne uno dei primi femministi della storia occidentale.

Da allora la strada è stata di molto spianata alle donne. Esse pongono il loro nome sulle pagine che scrivono, leggono, decidono se avere dei figli, cercano il loro posto nel mondo, lottano perché altre donne raggiungano gli stessi traguardi. Le donne occidentali sembrano diverse da quelle che Harriet Taylor voleva difendere senza svelarsi, e la persona a cui dobbiamo essere più grati è una sola: J. S. Mill. Solo lui, il filosofo inglese è stato ringraziato, letto e ricordato per avere scritto un’opera il cui senso controcorrente ha aperto nuovi occhi. È Mill l’intellettuale imperituro, non Taylor. Chi era Harriet Taylor? La moglie di Mill. E chi era John Stuart Mill? Il filosofo.

Viviamo ancora in quella società, in cui le donne per essere ascoltate hanno bisogno di un uomo, e finché il nome di Harriet Taylor è ricordato solo nelle Note del traduttore dell’opera La schiavitù delle donne, quei muri sono stati solo scalfiti, ma non abbattuti. Se persino le donne che studiano con passione l’opera di Mill non conoscono il nome di chi ha ispirato quelle parole, allora esse sono ancora schiave non di un uomo o di un matrimonio, ma di un preconcetto: l’idea che il sesso femminile necessiti della legittimazione del sesso maschile. La società di cui si promuove il progresso sta solo tremando, per trovare un nuovo equilibrio, non sta cadendo, e perché ciò accada bisogna ritrovare tutte quelle voci che sommessamente hanno spifferato le ingiustizie di metà del genere umano, e che sono i venti che hanno eroso, con pazienza e dedizione, il pregiudizio, la vigliaccheria e la violenza, e continuano a farlo.

La civiltà occidentale, in fondo, permette ancora che queste voci restino anonime, e se è così non si è allontanata troppo dall’Inghilterra di Mill e Taylor. La società è fatta di spazi chiusi, compartimenti, in cui gli individui si infilano, convincendosi che quello sia il proprio posto e vi restano. Quelle pareti si sono allargate, non sono ancora divenute ponti o strade; la civiltà occidentale è ancora costituita di regioni e confini, non di tragitti.
Allora, per provare a tracciare una nuova mappa, è bene raccontare una versione diversa della storia, ringraziando quello scrupoloso traduttore, che ha aggiunto la lunga Nota alla fine del libro.
Nel 1869 fu pubblicata La schiavitù delle donne, ed è forse il primo testo che mette in chiaro quanto dolore e quanta violenza abbiano dovuto subire le donne, e quanto gioverebbe alla società, non solo in termini di giustizia, ma di concretezza, che esse fossero libere di scegliere il proprio cammino. Viene chiamato protofemminismo. Il libro è il frutto dell’intesa intellettuale, della stima, dell’amore e fiducia di John S. Mill ed Harriet Taylor, il cui matrimonio fu desiderato e felice.

Sperimentando una parità intellettiva, riuscirono a rendere partecipi gli altri di quanto fosse motivo di serenità e gioia: lei concepì le idee, lui le mise per iscritto, e il mondo applaudì il libro.
Purtroppo, sul saggio vi è solo il nome di lui, John S. Mill. Il pubblico ha applaudito così forte che il nome di lei, Harriet Taylor, sfortunatamente, non l’ha sentito.

 

 

NOTE
1. John Stuart Mill, La schiavitù delle donne, Tasco, Milano 1992, p. 56

 

Fabiana Castellino

Fabiana Castellino è nata nel 1990 in Sicilia.
Si è laureata in Scienze filosofiche con lode, all’Università di RomaTre, con una tesi su Arthur Schopenhauer.
Ha maturato diverse esperienze nell’educazione dei bambini, prima con disabilità, e adesso svolge un progetto di volontariato europeo presso una scuola Steineriana in Belgio.
La lettura e la scrittura le sono state compagne sin da bambina, e l’hanno sempre guidata nelle sue scelte, professionali e di vita.

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