Se qualcuno ancora pensa che la questione del non mangiare carne animale sia una moda nata non più di qualche decennio fa, occorre che sia prontamente smentito. Sono molti gli intellettuali della storia che hanno deciso di privarsi della carne o che si sono dichiarati pubblicamente contrari, tra cui Tolstoj, Leonardo, Darwin, Gandhi, fino a Plutarco e ancora prima a Pitagora.
Al tema Plutarco, autore e filosofo greco del I secolo d.C, ha dedicato tre scritti contenuti nei Moralia, gli scritti morali. I componimenti, secondo la lettura che ne dà il critico Dario Del Corno, intendono «promuovere una rivalutazione dell’universo animale, che sia ispirata da criteri di giustizia, comprensione e solidarietà, tali da contrastare nell’abitudine degli uomini gli impulsi allo sfruttamento e alla crudeltà» (Plutarco, Del mangiare carne. Trattati sugli animali, Adelphi 2001, p. 34). I tre scritti non possiedono un piano omogeneo e affrontano la questione con una propria prospettiva, uno stile e un espediente narrativo diversi.
Il primo, Sul mangiare carne, è una polemica contro l’uso alimentare della carne, avvalorata anche dalla teoria pitagorica della metempsicosi1 (ma senza elevarla ad argomentazione principale). Nel secondo, Gli animali usano la ragione, la cosa interessante è che a perorare la causa sia un maiale, uno dei compagni di Ulisse trasformato in animale da Circe, Grillo, che della sua nuova condizione non si dispiace poi tanto. L’ultimo s’intitola Tra gli animali sono più intelligenti i terrestri o gli acquatici? ed è un dialogo sul modello platonico tra più personaggi. L’idea di Plutarco qui è che gli animali siano dotati di ragione, benché “imperfetta” rispetto a quella dell’essere umano, e che tra i tanti animali esiste semplicemente una differenza di grado.
Ciò che colpisce, soprattutto i più scettici, è che se non si sapesse nulla di Plutarco e ci si tuffasse nella lettura, si potrebbe anche pensare che sia vissuto poco tempo fa. Il motivo è la straordinaria attualità delle sue principali argomentazioni.
La prima riguarda l’uso smodato della carne da parte dei suoi contemporanei, una vera e propria «hybris alimentare» come la definisce ancora Dario Del Corno, scrivendo che Plutarco manifesta il suo sgomento nel trovarsi «al centro di un’attualità devastata dal delirio del consumo […] un’epoca che ha scelto di abbandonare la via maestra della natura e della misura, lasciandosi travolgere dall’ansia dell’eccesso» (ivi, p. 17). In sostanza, ci dice il pensatore greco, siamo ben lontani da quegli esseri umani che si nutrivano di animali per necessità e che la fame portava a fare qualcosa di contrario alla loro natura. «Ma voi, uomini d’oggi, da quale follia e da quale assillo siete spronati ad avere sete di sangue, voi che disponete del necessario con una tale sovrabbondanza?» (ivi, p. 57). E ancora: «ancora più terribile è vedere […] che gli avanzi sono più abbondanti di quanto è stato consumato. Queste creature dunque sono morte inutilmente!» (ivi, p. 60). Plutarco punta il dito contro i suoi contemporanei e li taccia di tracotanza (hybris): non uccidete per necessità ma per diletto, «per mangiare in modo più raffinato», un atto insolente, ingiusto, eccessivo, ingiustificabile. Sono parole scritte quasi duemila anni fa ma si sposano perfettamente nel mondo contemporaneo occidentale in cui finisce nel cestino quasi il 40% di quello che si produce a livello alimentare2.
Ma perché dovrebbe essere “ingiusto” cibarsi di carne? E qui arriviamo alla seconda argomentazione di Plutarco, secondo il quale gli animali sono dotati di ragione, sebbene non come quella dell’essere umano che è perfezionata «dalla cura e dall’educazione». Chi più chi meno, così come tra noi umani, gli animali hanno ragione, provano sensazioni, hanno coraggio, amore, viltà, socialità, paura, astuzia, stoltezza. Lo asserisce facendo numerosissimi esempi in tutti e tre gli scritti, echi di neonata zoologia. Ma Plutarco va anche oltre: gli animali sono più virtuosi degli uomini, ed ecco perché il greco Grillo preferisce la sua forma di maiale. Sono più virtuosi dell’uomo perché «la vita di noi animali è governata in genere dai desideri e dai piaceri necessari, mentre con quelli non necessari ma soltanto naturali abbiamo un rapporto che non conosce sregolatezza né eccesso» (ivi, p. 92). La soddisfazione dei piaceri dunque non ha a che fare con la violenza. «Se poi credete che non si debba chiamarla ragione né intelligenza,» conclude il filosofo «è il momento di cercare un nome più bello e più onorevole per definirla» (ivi, p. 98).
«Non è semplice estrarre [dall’essere umano] l’amo del mangiare carne, impigliato e conficcato com’è nella brama del piacere» scrive Plutarco; ma nel 2021, quando il consumo di carne è così strettamente legato anche alla crisi climatica e sociale che ne consegue, vale la pena renderlo un costante argomento di conversazione.
Giorgia Favero
NOTE:
1.La reincarnazione, la trasmigrazione dell’anima da un corpo a un altro.
2.Si riporta una delle innumerevoli fonti. L’industria della carne si pregia di essere la virtuosa in termini di sprechi: solo il 5% di ciò che viene buttato dal consumatore. Sarebbe utile consultare qualche dato sullo spreco durante la filiera, anche se l’utilizzo degli scarti di macellazione come ossa, teste, organi ecc. vengono effettivamente reimpiegati in altre industrie.
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