«I am human and I need to be loved just like everybody else does» cantavano così gli Smiths nella canzone How soon is now? appartenente all’album Hatful of Hallow (1984). E sulla tomba di Raymond Carver è scolpito un frammento letto al suo funerale dalla donna che più ha amato, la poetessa Tess Gallagher: «E hai ottenuto quello che/ volevi da questa vita, nonostante tutto?/ Sì./ E cos’è che volevi?/ Potermi dire amato, sentirmi/ amato sulla terra.»1 E in una lettera per la sua amata Caitlin il poeta Dylan Thomas scriveva: «Non ti voglio per un giorno […] ti voglio per tutta la vita […]»2. L’amore, che come dice il Poeta «move il Sole e l’altre stelle», è proprio il tourbillon dell’universo e il fil rouge delle nostre vite, come si vede già dalla copertina – un gomitolo rosso un po’ sfilato che passa annodandosi attraverso alcune maglie di una stretta rete in corda – di un libro che ho letto molto lentamente, quasi come una coccola, durante l’autunno perché sin dalla prima impressione era troppo, troppo bello, troppo denso di poesia, di letteratura, di arte, di vita vissuta, di parole scelte quasi scolpite sulla carta, Ogni storia è una storia d’amore di Alessandro D’Avenia. L’amore è il fil rouge delle nostre vite perché l’uomo brama di dare un senso alla propria vita e di trovare un equilibrio, quel mix di ebbrezza e di leggerezza calviniana di una vita vissuta appieno, e la risposta è l’amore, l’amore che è ciò che «muove Omero e il mare», come dice Osip Mandelstam, l’amore che è «crudele ma è la sola cosa che c’è», come scrive Zelda Sayre in una lettera a Scott Fitzgerald.
Ogni storia è una storia d’amore. Quella di D’Avenia è un’affermazione e leggendo il libro non possono restare dubbi: una galleria di trentasei racconti la cui cornice è doppia, da un lato le protagoniste, donne – perché la donna è sin dagli albori della letteratura occidentale «il viaggio e la meta»3 ‒ compagne di vita di grandi artisti, donne che hanno amato oscillando tra i due poli dell’amore e del disamore, fino al sacrificio di loro stesse o in conflitto con la Musa che già abitava il cuore di quegli uomini, dall’altro, i racconti stessi insieme formano una storia d’amore, quella di uno scrittore che ha avvolto in un gomitolo la materia del suo scrivere lanciandolo ai suoi lettori per arrotolarlo, come si legge nei ringraziamenti conclusivi, «Grazie a te, lettore, che hai voluto tenere un capo del filo del racconto e ti sei lasciato guidare fino a qui arrotolando il gomitolo che io mi sono lasciato alle spalle […]»4.
Una domanda però c’è – come si legge nella prima riga del Prologo – «L’amore salva?»5, e la ricerca di una risposta, motore e filo del libro, la troviamo nell’Epilogo, «siamo uomini perché possiamo coniugare i verbi al futuro e divini perché possiamo coniugarli al futuro anteriore»6 e l’amore è il paradosso del futuro anteriore.
Siamo uomini perché abbiamo un volto – e possiamo capirlo tanto più in questi tempi in cui indossiamo mascherine ovunque e quando incontriamo qualcuno vederlo con la mascherina o senza è molto diverso – cioè un viso rivolto all’orizzonte, un viso per entrare in relazione con le stelle, un viso che è desiderio (“de-sidera” “dalle stelle”) di destinazione, un viso che si apre alla meraviglia della bellezza e che ci apre alla felicità.
Siamo persone – dal greco prosopon che indica sia la maschera teatrale sia il volto, perché un personaggio è tale, cioè ha una storia, perché entra in relazione con il mondo attraverso la sua presenza, perché ha un volto – non “individui” – come la società attuale tende a considerarci ‒ cioè siamo tagliati, non siamo degli atomi indivisibili e il sesso (dal latino “secare” “tagliare”) è «il dono di essere fatti per amarsi». Ed è proprio l’eco del mistero di questa ferita costitutiva che possiamo ascoltare nelle storie raccolte da D’Avenia, storie d’amore che hanno protagoniste – cioè “coloro che combattono in prima fila, che rischiano per primi” ‒ donne perché le donne sentono la vita dal di dietro e sono loro stesse dimora della vita, storie d’amore, scandite dal loro prototipo, il mito di Orfeo ed Euridice, perché solo l’amore, letteralmente “a-mors” “senza morte”, ci sottrae alla polvere, ci fa scavalcare la nostra ombra spazio-temporale e crea una tregua dalla morte. E un prezzo da pagare per la nostra salvezza c’è ed «il rischio, perché niente ci fa correre il pericolo di smarrirci come l’amore […] ma l’uomo è eroe e la donna eroina quando accetta tutto il rischio della vita, e questo rischio si chiama amare» ed è l’unica vera trasgressione ed è il paradosso del mito di Orfeo ed Euridice: in amore ci si deve perdere per ritrovarsi perché «l’amore comincia sempre come scoperta di un’assenza» – «Il y a toujours quelque chose d’absent qui me tourmente»7, scrive Camille Claudel in una lettera a Auguste Rodin – l’amore «ci porta in un territorio nuovo, ci fa uscire da noi per farci sperimentare la vita vera», l’amore è «un aumento di luce».
NOTE
1. Alessandro D’Avenia, Ogni storia è una storia d’amore, Milano, Mondadori, 2017, p. 24
2. Ivi, p. 225
3. Ivi, p. 306
4. Ivi, p. 315
5. Ivi, p. 9
6. Ivi, p. 306
7. trad. it. C’è sempre qualcosa di assente che mi tormenta.
Rossella Farnese
Rossella (11 agosto 1992), dopo studi classici, ha conseguito con lode presso l’Università degli studi di Padova la Laurea triennale in Lettere Moderne e specialistica in Filologia Moderna e Critica Letteraria. È appassionata di letteratura, cinema, musica e teatro, ama l’arte e la natura.
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