La notizia del ritrovamento, dopo ben quaranta giorni nella foresta amazzonica colombiana, dei quattro fratelli di anni 13, 9, 4 e 11 mesi appartenenti alla comunità degli indigeni Uitoto, unici sopravvissuti a un disastro aereo, ha illuminato il mondo e acceso l’attenzione di chi dedica la propria ricerca alla questione dello sviluppo autonomo dei bambini. L’emergere dei dettagli su come siano riusciti a resistere senza la loro madre alle difficili condizioni della natura di quei luoghi, spinge a paragonare i bambini indigeni e quelli del mondo “occidentalizzato” e a chiedersi cosa abbia permesso ai primi di farcela in totale autonomia.
Una possibile risposta a questa domanda è da individuarsi nella competenza ambientale in possesso di questi bambini, competenza fondamentale per chi vive in stretto legame con la natura e la sua caratteristica selettiva. Ma non solo: altro aspetto determinante è l’approccio genitoriale, che sta alla base della relazione familiare, e la sua impronta educativa in favore dell’autonomia. Stabilire con i bambini il momento di svezzamento cognitivo-emotivo è una strategia vincente sul piano comportamentale. Trasmettere le istruzioni utili per riuscire ad associare a una situazione problematica le giuste soluzioni facilita la costruzione dell’autostima e migliora il rapporto di fiducia bambino-genitore.
Ma i bambini che vivono in un ambiente fortemente antropizzato, che conoscenze hanno del mondo che li circonda? Sono sufficientemente autonomi per riuscire a cavarsela da soli?
Nella nostra parte di mondo diventa sempre più raro vedere i bambini e le bambine protagonisti della loro autonomia, così come dei loro diritti alla partecipazione attiva – sanciti peraltro dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e adolescenza del 1989 – e questo non per una loro scelta ma per la prospettiva adultocentrica sul mondo infantile e per l’eccessiva protezione genitoriale che costantemente monitora il comportamento dei propri figli.
In Italia, come sottolinea il pedagogista Francesco Tonucci, diventa sempre più raro vedere i bambini muoversi o giocare in autonomia nelle città. La trasformazione degli spazi urbani, sempre in favore delle esigenze degli adulti, è causa ed effetto dei cambiamenti sociali che a loro volta hanno trasformato i bisogni dei bambini e la percezione del ruolo genitoriale. I genitori, infatti, tendono a sottostimare le capacità dei propri figli e a limitare al minino le loro occasioni di autonomia, risolvendo puntualmente ogni loro esigenza. Questo perché, da un lato, non li ritengono all’altezza e, dall’altro, perché soffrono il giudizio altrui sulle loro scelte parentali, specialmente temendo di essere considerati cattivi genitori se “aiutano i figli a fare da soli”. Ma è proprio il non mettere il bambino alla prova ad alimentare questa logica di dipendenza, nonostante da numerosi studi emerga quanto sia benefico promuovere l’autonomia – e specialmente quella di spostamento – per sviluppare una migliore conoscenza ambientale (mappe mentali), una maggiore capacità di problem solving e l’autorganizzazione. Impedire ai bambini di riappropriarsi del rapporto con l’ambiente impatta sulla sana crescita delle life skills e sulla loro identità individuale e comunitaria.
Il bambino, privato dell’esperienza sociale della sua infanzia, è un bambino privato dell’esperienza conoscitiva del mondo e della messa alla prova della sua intelligenza in relazione ai problemi che si presentano. Un altro errore di questa parte di mondo è ritenere il bambino quasi esclusivamente un soggetto da proteggere, dimenticando che in realtà è un soggetto competente e attivo fin dalla nascita, come sottolineato anche nel testo di J. Juul Il bambino è competente (1995). Vygostki riconosce l’importanza della trasmissione degli strumenti culturali per favorire la crescita mentale del bambino, e la storia di questi bambini indigeni evidenzia l’efficacia di questa riflessione. Come afferma Maria Montessori, «per aiutare un bambino, dobbiamo fornirgli un ambiente che gli consenta di svilupparsi liberamente» (M. Montessori, La scoperta del bambino, 2022) e la realizzazione di questa condizione si concretizza se il genitore (o l’adulto in generale) abbandona una cultura della paura e della sorveglianza per sostituirla con un lavoro sull’equilibrio dei valori di fiducia e competenza. Quanto accaduto ai bambini indigeni non va letto come se fosse una favola, anche se ne ha il sapore, perché farlo limiterebbe la profondità dell’analisi a cui questa storia realmente accaduta può portarci. Cosa ci insegna questa storia? Se al bambino non viene data la possibilità di esprimere la sua autonomia, allora scomparirà ai nostri occhi la sua visione di mondo, di quel mondo che contribuiamo a costruire per lui e non con lui. Questi quattro bambini sono la testimonianza che dobbiamo avere il coraggio di metterci alla prova e iniziare a cambiare rotta limitando il nostro compito nell’orientarli. Ai bambini lasciamo la bussola in mano.
NOTE
Photo credit Artem Kniaz via Unsplash