Troppo spesso parlando di amore si rimane incagliati e, oserei dire, intrappolati nei luoghi comuni, frasi fatte e citazioni di un qualche filosofo del passato le cui parole vengono cristallizzate in aforismi dal suono dolce e melodico.
Troppo spesso ci si limita a fornire una definizione precisa della dimensione amorosa, come se questa potesse essere ridotta ad una figura geometrica la cui area, mediante una semplice formula, risulta calcolabile e quantificabile.
Troppo superficialmente ci si accontenta della distinzione tra agape ed eros; insomma, ogni giorno viviamo di amore e delle sue più varie forme, ne siamo intrisi anche quando non vorremmo esserlo; tuttavia, non siamo mai capaci di definirlo e ogni nostro tentativo ci “acciuffarlo” risulta vano.
Io ritengo sia giusto partire da qui: dal disordine. E non si tratta di recuperare apaticamente la celebre frase nietzschiana “Bisogna avere un caos dentro di sé per generare una stella danzante”, quanto più di capire la ragione per la quale solo attraverso il disordine si può essere pronti ad amare.
Fin da piccoli, cresciamo nell’idea che esista un’anima gemella. Le favole innestano in noi la speranza che, un giorno, avremo l’occasione di incontrare un bel principe sul suo cavallo bianco o una principessa dai lunghi capelli dorati, con il quale o con la quale continuare a vivere per sempre, la cui garanzia è il ben noto “E vissero felici e contenti”.
Continuamente sentiremmo il bisogno di incontrare colui o colei in grado di colmare quello spazio vuoto che coesiste in noi, facendoci sentire più completi, fino a ricostruire quei pezzi che un po’ avevamo perduto. Arriviamo pertanto a creare nella nostra mente un’idea dell’altro, apparentemente perfetta e ordinata e cerchiamo a tutti i costi qualcuno i cui tratti riescano a combaciare perfettamente con quella nostra immagine mentale. Come se l’amore fosse una pretesa…come se potesse essere voluto a tutti i costi e costruito su misura..un po’ come quei giochi che facevamo da piccoli e che consistevano nel mettere le formine nello spazio vuoto giusto..
Peccato che l’amore non funzioni ad incastro, secondo un modello “spina-presa”. Se l’alterità diventasse la nostra spina, allora la vita di ognuno avrebbe senso solamente in funzione e in presenza di un’altra entità, tanto da affidare completamente la nostra vita nelle mani dell’altro.
Come riuscire a liberarsi da questa gabbia dorata? Come poter vivere autenticamente l’amore senza dipendere patologicamente da colui o colei per cui nutro un affetto profondo?
Il segreto è arrivare al punto di capire che la propria vita vale la pena di essere vissuta indipendentemente dall’amato, riuscendo a fare a meno di lui o di lei. L’amore, certo, implica dipendenza, tuttavia sta a noi renderla una dipendenza-indipendenza, oppure come sosterrebbe Dietrich Von Hildebrand, in una dipendenza legittima, propria delle persone centrali, di chi sa vivere autonomamente e in assenza dell’altro. Si incomincia ad amare quando si riesce a trovare il proprio centro in se stessi e non nella periferia, quando si abbandonano le idealizzazioni, quando si accoglie l’altro per le sue mancanze e debolezze.Riusciamo ad amare quando siamo pronti a cogliere la gioia, anche attraverso un piccolo spiraglio di luce.
L’amore è infatti gioia e la gioia è attività, fame di essere, volontà di vivere.
Sara Roggi
Sara nasce il 23 aprile 1992 a Treviso, la città in cui cresce e in cui frequenta il liceo classico ad indirizzo linguistico. Diplomata nel 2011, prosegue gli studi in Filosofia presso l’università Cà Foscari di Venezia, dove termina il suo iter formativo di triennale nel 2014 con un elaborato di laurea in filosofia morale. Appassionata di filosofia morale, politica ed etica, si è in particolare dedicata alla tematica dell’amore e alla questione della distinzione di genere e della differenza.