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La filosofia ha un problema di genere: ma di che genere si tratta?

Quando frequentavo la facoltà di filosofia mi resi conto fin da subito di alcune cose, tra queste, che i filosofi docenti con la barba erano in molti, che le filosofe docenti si contavano sulla punta delle dita e che nelle voci di corridoio l’ansia degli studenti per gli esami era tutta per Aristotele, Leibniz, Kant, Hegel…

Da quando è nata, la filosofia (VII-VI secolo a. c.) ha parlato sempre per mezzo dei filosofi, come se questa disciplina fosse qualcosa di intrinseco alla natura maschile, come se la mente degli uomini potesse essere l’unica in grado di rapportarsi concettualmente con la realtà e i suoi fenomeni, elaborando quindi letture significative, autorevoli e universali, in sostanza come se il mondo stesso fosse una faccenda da uomini e per gli uomini.

Nel corso della storia della filosofia, la figura maschile è una figura archetipica che ha rafforzato ulteriormente l’identificazione del genere maschile nelle varie attività umane. Questa egemonia maschile del mondo occidentale ha contribuito all’indebolimento della presenza femminile alimentando il rapporto di subalternità delle donne, perché, come sottolinea Adriana Cavarero, «la tradizione occidentale assume la differenza sessuale come un’opposizione di maschile e femminile, i cui due termini non sono posti sullo stesso piano, uno di fronte all’altro, bensì strutturati secondo un ordine gerarchico di subordinazione e esclusione» (A. Cavarero, Il pensiero femminista in F. Restaino – A. Cavarero, Le filosofie femministe, Mondadori 2002, p. 81).

Per una disciplina che ha in sé il valore e lo scopo dell’indagine, la ricerca di senso, che significa amore e meraviglia, sentimenti che vivono in tutti e che ci rendono uguali, aver escluso e limitato la partecipazione femminile nel dialogo con gli eventi del mondo rende contraddittoria la sua essenza e poco rivoluzionario l’obiettivo della conoscenza, cioè quello di essere per tutti.

Ancora oggi, se prendete un manuale di storia della filosofia vi accorgerete, anche dalle immagini di copertina, che la filosofia è piena di nomi maschili (nonostante il suo sostantivo sia femminile) e che per i primi volumi non troverete mai capitoli dedicati al pensiero filosofico femminile, per il quale bisogna invece aspettare di arrivare al Novecento. Questo perché poche sono le alternative di fonti che possano rimediare a questa grave mancanza di lógos femminile, anche se, quando i nomi ci sono (Ipazia, Aspàsia di Mileto, Plotina) continuano a non essere presenti. Anche la filosofia ha riconosciuto come giusto il ruolo che la storia ha dato alle donne impedendo, in questo caso, di essere filosofe insieme ai filosofi. Come per altri ambiti culturali e incarichi sociali, la presenza femminile necessita di essere giustificata. Ma, per usare le parole di Luce Irigary, «occorre deliberatamente dare per scontato il ruolo femminile» (D. Ballarini, A. Carbone, Il libro della filosofia, Gribaudo, 2018, p. 320), perché il ruolo maschile non è stato mai messo in dubbio.

Il gender gap in filosofia riflette lo stereotipo di discriminazione di genere che si verifica in vari ambiti della società, perché radicata è la convinzione che le donne siano meno adatte, in quanto meno intelligenti e più emotive, a ricoprire ruoli che spettano, quasi per diritto, agli uomini. Tale dinamica è riscontrabile anche in ambito accademico. Nel 2019 la SWIP (Società italiana per le donne in filosofia) ha raccolto dati sulla presenza delle donne (filosofe) negli atenei italiani: i professori ordinari sono il 76.36%, contro il 23.64% delle professoresse ordinarie, differenza che resta significativa per gli associati (65,85% vs 34.15%)1.
Cosa bisogna fare affinché questi numeri si distribuiscano equamente? Come agire per dare identità e dignità sociale alla donna e alle sue aspirazioni evitando però che la questione di genere diventi una faccenda di schieramenti ideologici? Quali strategie mettere in campo per dare voce alle filosofe senza che questo porti per forza a studi (corsi) di genere?

Il pensiero femminile è stato svalutato, messo in un angolo, perché le donne stesse per molto tempo sono state emarginate dalla società e dall’istruzione, screditando la loro presenza razionale, il loro stare nel mondo attivamente, in sostanza limitando la loro forza a una mera forza procreatrice (ma non nel senso maieutico-socratico del termine). Se la nostra società è aperta, cioè democratica, allora perché ad oggi c’è ancora un dominio culturale maschile?

Qualche tempo fa, sono tornata nella mia vecchia facoltà e ho sentito pronunciare questi quattro nomi da un professore (che è riuscito a fare carriera): Elizabeth Anscombe, Philippa Foot, Iris Murdoch, Mary Midgley. Forse stava citando, o consigliando, il bellissimo libro scritto da Claire Mc Cumhaill e Rachael Wiseman2, un libro in cui ci si sente subito solidali con quelle quattro donne che hanno riportato in vita la filosofia.

 

NOTE
1. Per approfondire i dati del report: https://www.menelique.com/genere-accademia/.
2. Cfr. C. Mc Cumhaill, R.  Wiseman, Il Quartetto. Come quattro donne hanno riportato in vita la filosofia, tr. it. di L. Vanni, A. Mondadori, Milano 2023, pp. 447.
[Photo credit Sarah Nolter via Unsplash]

Marica Notte

Marica Notte

attenta e distratta, paziente, meditativa

Sono nata in Molise nel 1987 e dal 2006 vivo nella Capitale d’Italia. Ho una Laurea Magistrale in Filosofia (Università Sapienza di Roma) ma non so se posso dirmi filosofa. Forse sì, perché di ogni cosa ne faccio una domanda. Dopo tre anni di borsa di studio ed esperienze varie, attualmente sono assegnista di ricerca […]

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