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David Lynch: di tutti, ma non per tutti

La sera del 15 luglio 2017 la Loggia dei cavalieri a Treviso era gremita di spettatori per la proiezione, organizzata da La Chiave di Sophia, di The Straight Story – Una storia vera (David Lynch 1999). Oggi, a quasi otto anni di distanza da quell’afosa sera d’estate, tutto il Mondo sta rendendo omaggio a David Lynch e alla sua arte. Declinando al cinema il tema del viaggio, avevamo scelto di proiettare il film narrativamente più convenzionale tra quelli di un autore che ha fatto dell’onirico e del disturbante i suoi tratti peculiari. A ripensarci bene, però, Lynch è stato anche questo: un regista di tutti ma non per tutti.

L’impatto che i suoi lavori hanno avuto su milioni di spettatori nel Mondo è dimostrato dalla sterminata quantità di omaggi e tributi apparsi in questi giorni rimasti orfani della sua presenza. Lynch è stato uno degli autori più acclamati e celebrati dalla critica pur avendo un pubblico che, per numeri e presenze, nemmeno il cinema “di cassetta” riusciva a volte a raggiungere. La sera dell’8 aprile 1990 l’episodio pilota di Twin Peaks tenne incollati alla televisione 34,6 milioni di spettatori solo negli Stati Uniti1 mentre la prima stagione vanta una media di 18,3 milioni di spettatori a puntata, consacrando di fatto Lynch come padre della serialità televisiva contemporanea. Non è cosa da poco per un regista che ha voluto indagare per tutta la vita il diverso, l’onirico e le zone d’ombra dell’animo umano. Attraverso il perturbante freudiano (Das Unheimliche nell’originale tedesco) Lynch ha fatto breccia nelle visioni di milioni di spettatori, arricchendole di incubi e paure che scaturiscono da situazioni quotidiane e familiari, rendendole estranee e terrificanti.

Invece di allontanare il pubblico però, il cinema di Lynch si è rivelato come una scoperta e un approdo sicuro per chi, in quelle immagini pervase da inquietudini e stranezze di ogni tipo, ha trovato una dimensione strettamente intima e personale, magari inconsciamente tenuta segreta in nome delle convenzioni sociali, le stesse temute dal regista a inizio carriera. «Cari mamma e papà, vi prego di non guardare il film Eraserhead e soprattutto non dite a nessuno che l’ho fatto io», scriveva Lynch in una nota ai genitori datata 1977. In Eraserhead (1977) e in moltissimi altri lavori successivi del regista statunitense sono i primissimi minuti del film a mettere a fuoco tutto il resto della storia. Inizi intesi come idee di partenza ma anche come spazi abitati da una moltitudine di mondi paralleli, indecifrabili finché continuiamo a pensare di essere di fronte al «dispiegamento di un palcoscenico concepito per uno sguardo già esistente»2; non se assumiamo invece che il cinema è il luogo, lo spazio stesso, quasi l’organismo vivente, la condizione necessaria e sufficiente perché uno sguardo si possa creare. Viene allora il sospetto che il raccapriccio, il trincerarsi dietro a una presunta incomprensibilità e il rifiuto totale di fronte a un’opera come questa siano stati, quel giorno del ’77, soltanto la reazione di chi si ferisce da sé perché si reclude in una Vergine di Norimberga. La dolce tortura del cinema, quando raggiunge vertici così radicali ed elevati, è in grado di spogliarci fino a mandare in cortocircuito tutte le nostre difese.

Lynch lo ha capito e ce l’ha fatto capire portandoci in luoghi del subconscio che non saremmo mai stati in grado di esplorare senza la sua visione. Quello di Lynch è un cinema prodotto da un’Illuminazione, il potere nascosto in ogni essere umano che il regista amava liberare praticando la meditazione trascendentale. Che si parta da una tavola calda al confine con il Canada o da un notturno viale di palme nel cuore di Hollywood, i film di Lynch finiscono sempre per trasportare lo spettatore in altre dimensioni. Cinema che diventa viaggio dentro noi stessi ma anche strada vera e propria da percorrere. I personaggi di Lynch guidano di continuo nei suoi film: da Lost Higway (1997), passando per Wild at heart (1990)fino a The Straight Story, la storia vera di di Alvin Straight, contadino dell’Iowa che nel 1994, a 73 anni di età, si mise alla guida di un trattorino rasaerba per andare a trovare il fratello reduce da un infarto percorrendo 510 chilometri. Torniamo così a quel 15 luglio del 2017 sotto la Loggia dei cavalieri, altro termine caro al regista che, in un’altra Loggia, aveva ambientato alcune delle sequenze più iconiche di Twin Peaks.
Per una volta tutto torna: se fossimo in un film di Lynch non sarebbe successo.

 

NOTE
1. Ratings Archive – April 2, 1990 (JPG), su tvaholics.blogspot.com, TV-aholic’s TV Blog, 12 giugno 2009.
2. Margherita Palazzo su “Sentieri Selvaggi”.
[Credits photo di copertina: Metrograph]

 

Alvise Wollner

cinefilo, cinofilo, fotosensibile

Classe 1991, anno della capra, vivo tra Treviso e Venezia. Dopo la maturità classica e le lauree in Lettere e Giornalismo a Padova e Verona, ho pensato che scrivere potesse aiutarmi a vivere. Giornalista pubblicista, collaboro dal 2013 con la Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e sono redattore del quotidiano online TrevisoToday dal 2015. […]

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