Il pensiero di Michel Foucault può essere assunto come uno dei tentativi più rilevanti di comprensione della realtà contemporanea. Le sue teorie, infatti, hanno avuto un notevole impatto sulle dinamiche sociali che riguardano tanto la sfera relativa al potere, quanto le forme tradizionali di sapere.
In una delle sue opere principali, Sorvegliare e punire, Foucault affronta la questione relativa alla nascita della struttura carceraria richiamandosi al modello del Panopticon concepito e progettato da Jeremy Bentham. Il Panopticon è un carcere circolare in cui le celle sono situate nel perimetro esterno della struttura e al cui centro vi è una torre di guardia dalla quale può essere osservata l’intera zona (cfr. M. Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi, 2013). I soggetti presenti all’interno del carcere credono di essere continuamente osservati anche se non possono visionare che cosa ci sia realmente all’interno della torre di controllo, al punto che potrebbe anche non esservi nessuno. Il centro del potere, dunque, potrebbe essere vuoto: gli individui sono portati ad autodisciplinarsi e a introiettare i meccanismi del potere perché mossi dal timore di essere controllati (cfr ivi, p. 193).
L’azione dei soggetti è orientata a una scelta volontaria di comportamento che implica l’obbedienza a un’istituzione e, secondo Foucault, tale meccanismo non risulta essere proprio solo del carcere, ma anche di una serie di strutture nate parallelamente e che operano nella modernità rispondendo alla medesima esigenza di regolazione. Tali istituzioni sono i manicomi e gli ospedali che rappresentano il tentativo, da parte dei legislatori, di far rispettare l’insieme di norme anche a quella parte della società che non semplicemente per il suo comportamento, ma anche per la sua stessa esistenza, risulta essere deviante (M. Foucault, Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, 2011).
Il carcere, dunque, diviene il paradigma di una modernità fondata su una divisione dei luoghi sociali che riflette una distribuzione gerarchica del potere.
Quanto sostenuto da Foucault appare più che mai applicabile al contesto contemporaneo. L’epoca attuale è attraversata da dinamiche indissolubilmente connesse ai processi di digitalizzazione, i quali trovano una realizzazione all’interno dei social network o sfociano nei diversi ambiti dell’Internet of things. Le piattaforme social, così come gli algoritmi di tracciamento, creano una sorveglianza pervasiva che risulta implicita e che impone, di conseguenza, un auto-addomesticamento da parte degli individui (cfr. Van Dijk et al., Platform Society, Guerini Scientifica, 2019). Questa autocensura è la medesima delineata da Foucault nella descrizione delle modalità di comportamento proprie dei soggetti che, temendo di essere osservati, risultano consapevolmente disciplinati. La questione stessa della sorveglianza impone, dunque, la necessità di un atteggiamento conforme alle norme sociali ed è qui che l’analisi relativa all’utilizzo di Instagram, Facebook o Tik Tok assume un senso. Tali social network sono finalizzati alla pubblicazione di contenuti condivisi mirati a generare consenso e innescare un meccanismo psicologico di dipendenza, da parte del singolo individuo, nei confronti del giudizio altrui. L’altro, però, appare come un’alterità generica capace di indurre il soggetto a procedere interiorizzando un conformismo determinante fondato su standard sociali prestabiliti.
Le persone, in tal senso, tendono a modificare radicalmente la loro identità poiché intrappolate all’interno di un circolo vizioso costituito da contenuti virtuali in linea con le aspettative sociali. Di conseguenza, tutto viene gestito attraverso la matrice del consenso che stabilisce l’inclusione o la marginalizzazione stessa dei soggetti dalla community (cfr. ibidem).
Non vi è più, dunque, un concetto forte di potere che coincide con una sorveglianza autoritaria unica, ma vi è l’idea di un micropotere decentrato per cui la sorveglianza stessa, all’interno del mondo virtuale, viene messa in atto in modo frammentato attraverso pratiche e discorsi altrui (cfr. G. Deleuze, Postscript on the Societies of Control, in Pourparler, Quodlibet, 2000). Il controllo reciproco diviene, così, sempre più invisibile e complesso da circoscrivere, ma al contempo è dotato di un potere molto forte capace di plasmare attivamente i gusti e gli interessi degli individui che condividono quotidianamente informazioni personali.
L’Internet of Things, infatti, estende il concetto di sorveglianza a tutti quei dispositivi intelligenti che monitorano continuamente la vita degli esseri umani con la diretta conseguenza di previsioni sempre più dettagliate in merito a necessità individuali.
Si va a costituire, così, una sorta di Panopticon digitale rigidamente determinato volto alla manipolazione di azioni e preferenze al cui centro di controllo non vi è più un’autorità estranea, ma il soggetto stesso. Quest’ultimo, infatti, non riesce più a comprendere quanto l’illimitata disponibilità dei mezzi tecnologici rappresenti la sua stessa prigione (cfr. S. Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza, Luiss University Press, 2023).
NOTE
[Photo credit Ye Jinghan via Unsplash.com]