Quando nel 1939 lo scrittore Cesare Pavese annotava nel suo taccuino che «la vitalità creatrice è fatta di una riserva di passato» (C. Pavese, Il mestiere di vivere, Torino, Einaudi 1962, p. 147) metteva in evidenza l’importanza fondativa del custodire collettivamente, attraverso la memoria e la parola narrante, la propria storia comunitaria, al fine di garantire un approccio condiviso e consapevole alla vita presente e futura. Tuttavia, alla lettura di queste poche parole sorge un’immediata domanda spontanea: se è necessario conservare una riserva di passato, quali eventi vanno tenuti saldi nella mente e trasmessi a chi non li ha vissuti? Quali vite vanno rievocate nella memoria e con la voce affinché non cessino di essere fonte di insegnamento? Qual è, quindi, il tipo di passato di cui è bene custodire una riserva?
Una prima risposta, avanzata con ingenua spontaneità e quasi certamente approvata – se non, probabilmente, data – dai più, suggerirebbe di fare pronto riferimento ai tomi liceali, quei fidati scrigni di conoscenza su cui molti studenti si sono ingobbiti per ore tentando di memorizzare la successione dei sette re di Roma, le imprese di Federico II o la divisione militare fra Intesa e Alleanza, non riscontrando sempre l’atteso e sperato successo. Questo tipo di conoscenze e di passato costituisce la Storia ufficiale, ovverosia quell’insieme di avvenimenti puntuali e lunghi processi testimoniati da documenti e fonti di svariata natura – orali, materiali, visive, scritte – e nel tempo indagati e verificati dagli studiosi con certosina oggettività.
Se però si avessero il tempo e la pazienza di sostare qualche minuto in più sul quesito posto, si avrebbe la possibilità di valutare una seconda opzione che non si oppone nettamente alla prima, ma la integra poiché non ne mette in dubbio la validità, bensì la sufficienza. Se è vero, infatti, che la ricostruzione del passato basata sulle fonti documentarie, sul metodo scientifico e sullo studio attento di storici e specialisti è stato ed è fondamentale per avere una conoscenza obiettiva e quanto più precisa di fatti e avvenimenti accaduti, è altrettanto vero che quest’insieme di nozioni e dati non è sufficiente per avere e coltivare una coscienza storica piena perché non fornisce un quadro completo ed esaustivo di ciò che ci ha preceduto. La disciplina storica, avendo scelto, per necessità e rigore scientifico, di dedicare attenzione e oggettività metodologica alla Storia generale, ha propeso per eclissare e tralasciare tutte le singole storie particolari di cui nessuna epigrafe, annale manoscritto o documento legislativo è testimonianza, ovverosia quell’insieme di vite quotidiane, reazioni umane e avvenimenti puntuali propri dei singoli individui sui quali sono ricadute inevitabilmente tutte le conseguenze dei grandi eventi e delle grandi decisioni. Si tratta di una sorta di non-Storia che, nonostante il nome, è a essa legata da un rapporto di mutua necessità. L’intellettuale Franco Ferrarotti metteva in luce che «[la storia] da storia storica, più o meno marmorizzata, si scioglie nella fluidità problematica delle storie di vita. […] Storico e vissuto cominciano a dar luogo a una sottile, inesplorata dialettica relazionale» (F. Ferrarotti, La storia e il quotidiano, Laterza, 1986, p. 117).
E infatti, sebbene sia innegabile ed evidente il valore profondo della tradizionale «histoire-bataille», la conoscenza, anche solo circoscritta, della «histoire-homme»1 non può essere tralasciata, perché è proprio con il tramandamento della complessità sentimentale squisitamente umana – narrata in tutte le sue lecite ambiguità e le sue possibili sfumature e mantenuta in primo piano su uno sfondo costituito necessariamente dagli eventi storici cardinali – che si può far germogliare in chi ascolta uno sguardo pieno e onnicomprensivo e una mente capace di essere allo stesso tempo critica e compassionevole, nel senso etimologico del termine.
Pertanto, è attraverso una narrazione duplice, vale a dire fatta di Storia e non-Storia, di guerre e reazioni umane, di atti legislativi e sudditi su cui poi essi ricadono, che è possibile sviluppare una reale coscienza storica capace di fungere da base per un avvenire consapevole, poiché è l’assimilazione conscia delle infinite complessità umane e del loro legame con l’andamento storico e, insieme, la negazione di un passato monolitico, universale e costellato solamente di eventi colossali, che consente di approcciare quanto verrà e accadrà con duttilità critica e lungimirante fermezza.
NOTE
1. «Con la definizione histoire-bataillesi fa riferimento a un approccio che predilige la dimensione politico-istituzionale emilitare della storia, oltre alle biografie di personaggi noti. La definizione histoire-hommemette al centro della riflessione edella narrazione storica non gli eventi, ma l’uomo, colto in profondità, nella dimensione sociale e soggettiva», (F. Caffarena, Inquietudini tra metodo e narrazione: scrivere la storia, raccontare storie, in “Publifarum”, 36, 2021, pp. 31).
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