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Siamo capaci di essere animali sociali in una società multiculturale?

L’uomo è animale sociale (ζῷον πολιτικόν) Aristotele

Frase trita e ritrita in qualsiasi manuale di storia della filosofia; Espressione utilizzata da svogliati docenti liceali che rimandano lo studio della filosofia politica Aristotelica all’ “approfondimento personale”; dotta citazione dispensata da un famoso intellettuale in un’intervista per il giornale.

Siamo sicuri di averne davvero colto il significato? Cosa intendeva dire Aristotele nel IV secolo a.C quando, parlando della natura umana, la definiva politica? Perchè questo concetto si rivela essere di un’importanza cruciale oggi, era dell’ individualismo dilagante e della società di massa?

Hannah Arendt legge Aristotele nella seconda metà del XX secolo, e i fatti drammatici della seconda guerra mondiale e della bomba atomica le permettono di cogliere nelle parole di Aristotele dei nuovi significati, che allo stesso tempo gettano luce sui significati antichi, illuminadoli e rendendoli forieri di nuove interpretazioni. Il carattere sociale/politico dell’essere umano non è inscritto nel DNA delle sue cellule ma è un prodotto dell’uomo: è la conseguenza del nostro essere gettati in un mondo popolato da nostri simili, con i quali dobbiamo interagire per vivere. L’uomo si ritrova così in questo spazio, in questo infra-uomini, all’interno di questa rete di relazioni intersoggettive, che in ultima istanza si rivelano essere la condizione della sua stessa libertà.

L’uomo solo all’interno della società può dirsi libero.

Hannah Arendt

Aristotele pensava alla sua piccola polis, ai cittadini greci che si riunivano nell’agorà per parlare di questioni care all’intera cittadinanza; noi, cittadini del XXI secolo dobbiamo rapportare le parole di Aristotele ad una situazione radicalmente cambiata: le nostre poleis sono metropoli, abitate da individui che si conoscono a malapena, che provengono da diverse culture, parlano lingue diverse e si inginocchiano davanti a differenti Dei. Abbiamo tolto di mezzo le frontiere, le barriere fisiche che ci separavano gli uni dagli altri, quasi certi che una forma di convivenza fra diversi fosse relizzabile, e convinti che la società del futuro si sarebbe modellata come un coro a più voci. Purtroppo non è stato così, il XX secolo testimonia che l’eliminazione del diverso è stata preferita alla sua integrazione, e il XXI secolo con il riemergere dei nazionalismi e di ideologie razziste mette in evidenza come alle barriere fisiche si siano sostituite delle spesse mura mentali fatte di pregiudizi, rabbia e paura. Il razzismo si è insinuato nelle relazioni tra gli esseri umani, celandosi dietro all’utopia della società multiculturale e al sogno dell’ epoca della tolleranza, e ha impedito e continua a impedire tutt’ora quello che si rivela essere uno dei fondamentali bisogni dell’uomo, tanto quanto il respirare: l’essere riconosciuto dall’altro.

Riconoscere è più di guardare, posso guardare un oggetto o un animale mentre l’uomo lo riconosco, riconosco in lui la stessa umanità che c’è in me ed egli allo stesso tempo fa con me altrettanto, e così, alla fine del processo, siamo Io di fronte all’ Altro, siamo due Soggetti. La relazione di riconoscimento è basilare per la costruzione dell’identità, l’aveva capito Hegel quando nella Fenomenologia dello Spirito, IV capitolo, pone un padrone e un servo, apparentemente opposti, inconciliabili ma che si scoprono essere l’uno legato all’altro, in quanto il padrone non sarebbe tale se non avesse un servo che così lo riconosce e lo stesso vale per il servo, che non esisterebbe senza lo sguardo umanizzante del padrone. Il razzismo che iperversa in quest’ Europa (unita?) testimonia che preferiamo negare la diversità, negare il riconoscimento di colui che non è uguale a noi, per paura di perdere e dimenticare quello che siamo. Questo non è che un ottuso pregiudizio, che ci fa perdere quello che promette di preservare: “la nostra identità”, perchè come ricorda Franco Crespi

” l’identità non può essere costruita senza rapporto con la differenza: quando l’identità viene costruita semplicemente contro l’altro, in via di principio sto lavorando contro la mia stessa identità, in quanto tendo a distruggere uno dei suoi elementi essenziali, ovvero la possibilità di vederla riconosciuta dall’altro.”

La sfida che Aristotele lancia a noi contemporanei pare essere quella di ricostruire una polis di grandi dimensioni, una comunità dove possano intercorrere stretti legami tra i cittadini nonostante siano profondamente diversi per lingua, cultura e religione. Il paradigma della società multiculturale dove il diverso viene semplicemente tollerato, ma non intimamente conosciuto e compreso si è rivelato fallimentare; bisogna passare ad una forma di convivenza dove le diversità degli individui vengono riconosciute, dove a dominare la scena non sia l’esclusione o peggio ancora l’indifferenza, ma il dialogo. Quella che Aristotele concepiva come primaria caratteristica dell’uomo diviene oggi una sfida “sii essere sociale!” in questa società che ostenta una complessità di facciata per poi realizzare invece una piatta omologazione all’indifferenza.

Valentina Colzera

[immagini tratte da Google Immagini]

 

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