Home » Rivista digitale » Cultura » Lettura » Friedrich Hölderlin: ritratto di una vita

Friedrich Hölderlin: ritratto di una vita

Pochi poeti sanno sacrificare la vita sull’altare della poesia, pochi si affidano ad essa, la sanno ascoltare e ce la indicano aprendo spazi tra il silenzio e il rumore.

Tra questi brilla Friedrich Hölderlin, nato in provincia sveva, egli cresce nel chiuso ambiente pietistico, soffrendo la perdita di due padri prima del decimo compleanno: il giovane verrà adottato dalla natura, che il poeta non cesserà di cantare. Essa viene vissuta come il luogo dell’assenza di nomi -che è assenza di forme- di quei nomi che gli uomini si danno come fosse in loro potere di nominare, nella viva voce del poeta:

 

certo allora non vi chiamai

coi vostri nomi, come voi

non mi chiamaste mai

col nome che gli uomini si danno

quasi si conoscessero:

 

ma conobbi voi meglio

di quanto mai conobbi gli uomini:

io capii il silenzio del Cielo,

io non ho mai capito la parola umana[1]

La sua vita fu condotta in continuo dissidio con l’amata madre che per lui aveva già deciso il ruolo di pastore protestante. Contro questa rivendica sommessamente la volontà di svolgere la “professione più innocente”: il poeta, il giocoliere della parola.
Finiti gli studi entrò nel grandioso ambiente dell’idealismo di Jena. Compagno di studi e stretto amico di Hegel e Schelling. Intrattenne poi uno stretto rapporto con Schiller, il quale gli presentò Goethe. Questi, chiamato a giudicare alcune poesie di Hölderlin, le accolse con indifferenza rifiutandogli il ruolo di gesprächspartner ossia di (degno) “interlocutore”.
Le prime delusioni, il mancato riconoscimento dei pari, l`ombra minacciosa della madre con il suo strascico di pretese, l’ insuccesso dell’ Iperione che Hölderlin considerava come il romanzo del riscatto, il fallimento del progetto di una rivista che avrebbe dovuto raccogliere i massimi poeti tedeschi dell’epoca, portarono il poeta in un vortice che culminò con la morte di Susette Gontard,chiamata nelle liriche e nell’ Iperione Diotima, nome non casuale che mostra quanto l`influsso platonico abbia pesato nella maturazione della concezione estetico hölderliniana fino a dichiarare:

“Santo Platone, perdona! Molto si è peccato contro di te! ” [2]

A questi episodi seguirono i primi eccessi di follia, gli amici più stretti, forse sottovalutando lo stato di malattia, se ne disinteressarono, abbandonandolo in una struttura psichiatrica. Verrà prelevato nel 1807 da un certo Zimmer, un falegname mosso a riconoscenza a seguito della lettura dell’Iperione.

L’umanità di questo sconosciuto stupisce non meno dell’opera più riuscita di Schiller, o di una lezione di Hegel e ci rivela l’humus segreto su cui è potuta fiorire una delle più grandi generazioni di uomini che la terra abbia conosciuto.

Hölderlin si spegnerà dopo 36 anni di ritiro nella casa del falegname, senza essersi rimesso dalla follia, avendo continuato a scrivere poesie firmate con nomi fittizi (il più frequente fu Scardanelli, ma anche Salvator Rosa e altri) e datate in secoli precedenti.

Chiunque voglia narrare sommariamente la vita del poeta incontra almeno due principali problemi da affrontare: il primo è dovuto alla necessaria operazione di smitizzazione e repulisti di tutti quegli autori caduti in letture violentemente ideologiche, come nel caso di Nietzsche – autore che col nostro ha più di qualche sporadica somiglianza – il secondo è invece di natura più ostica e consiste nel rintracciare quelle vicende e traumi che Hölderlin sfrutterà come altissima fonte della sua poetica.

Lo sforzo è di eliminare nella vita la prosa dalla poesia e le contingenze dalle necessità artistiche, dove per quest’ ultime si intendono quelle vicende a cui il poeta dona senso cantandole, riscrivendole in un destino, sottraendole al caso.

Hölderlin, intingendo la penna nel proprio sangue prima di scrivere, trae la sua forza poetica, in un’alternanza di armonie e dissonanze, rimanendo fedele al sacro en kai pan [3].

Alla costante ricerca di trovare la propria tonalità originaria, il proprio segno poetico, il poeta si muove tra ambienti arcadici e abissali anticipazioni dal sapore novecentesco, come nella poesia Mnemosyne i cui primi versi recitano:

 

“Noi siamo un segno non significante,

indolore, quasi abbiamo perduto

nell’esilio il linguaggio” [4]

.

Francesco Fanti Rovetta

 

NOTE

[1] F. HÖLDERLIN, Quando ero ragazzo, Liriche, traduzione di E. Mandruzzato, 1993

[2] F. HÖLDERLIN, Iperone, prefazione alla seconda stesura. Il modo in cui viene connotato Platone in poco meno di una riga è massimamente espressiva del clima entro cui avviene la ricezione hölderliniana dei temi platonici: da un lato derivante la cristianizzazione del filosofo greco, dall’altro attraverso la lettura e traduzione rinascimentale di Marsilio Ficino.

[3] Dal greco, letteralmente: “uno e tutto”, classica formula panteistica.

[4] F. HÖLDERLIN, Mnemosyne, Liriche, traduzione di E. Mandruzzato, 1993

 

Gli ultimi articoli

RIVISTA DIGITALE

Vuoi aiutarci a diffondere cultura e una Filosofia alla portata di tutti e tutte?

Sostienici, il tuo aiuto è importante e prezioso per noi!