Ale Giorgini è un giovane illustratore e fumettista che vanta già decine di collaborazioni prestigiose tra cui: Warner Bros, Sony Pictures, Foot Locker, Emirates, MTV, Mondadori, Gruppo L’Espresso, Virgin Atlantic, e pubblica ogni mese le sue storie a fumetti su Focus Wild e Focus Junior.
Ha partecipato a mostre e performance in tutto il mondo da New York, Sidney, Los Angeles, San Francisco, a Roma, Milano e Firenze. Le sue opere sono esposte alla Hero Complex Gallery di Los Angeles e alla Bottleneck Gallery di New York. É insegnante alla Scuola Internazionale di Comics. É il curatore di Illustri Festival.
Uno stile minimale il tratto semplice ed i colori nitidi, come se le figure fossero stampate magicamente sul cartone e poi colorate e ritagliate come in un collage infantile e preciso.Giorgini passa dal fumetto mainstream alle strice per il web, dalle illustrazioni geometriche che citano cultura pop, musica e cinema al fumetto politicamente impegnato, conservando sempre leggerezza e ironia.
Un Ale Giorgini che vuole sorridere sempre alla vita. Quale altro Ale si cela dietro la sue illustrazioni?
Non c’è nessun altro Ale Giorgini. Quello che disegno è una traduzione per immagini di quello che sono. O di quello che cerco di essere.
In che modo l’illustrazione è entrata a far parte della tua vita? Hai avuto qualche maestro di riferimento o qualcuno a cui ispirarti?
Il disegno fa parte della mia vita da sempre. Non ho un ricordo di me senza una matita in mano. L’illustrazione come professione, invece, è arrivata nella qualche anno fa. Sei anni fa, per la precisione, quando ho deciso di licenziarmi dal lavoro precedente per tentare il mio percorso di illustratore. Non avendo avuto un percorso di studi artistico, è stato per me fondamentale seguire il lavoro di altri illustratori, Ho avuto insegnanti che, a loro insaputa, hanno contribuito alla mia formazione: Miroslav Sasek, Joe Ledbetter, Pablo Lobato, Bruno Bozzetto, Jeremyville, Derek Yaniger, Tim Biskup, Massimo Giacon, Bruno Prosdocimi, Al Hirschfeld, Joe Burgerman, Diavù e l’elenco potrebbe continuare ancora per molto. Nel corso di questi ultimi anni ho avuto la fortuna di conoscere di persona alcuni di loro e di poter ricevere dalle loro parole dirette consigli e incoraggiamenti. Il miglior corso di studi che potessi frequentare.
I tuoi disegni possono ricordare molto lo stile degli illustratori degli anni ’50 e ’60, del Carosello e dei Cartoons di Hanna & Barbera. Come definiresti il tuo stile?
I cartoni di Hanna&Barbera (the Flintstones, the Jetsons, the Wacky Racers, the Impossibles, Yogi the Bear) hanno un posto speciale nella mia vita. Passavo interi pomeriggi davanti alla tv, completamente assorto nella visione di quelle immagini per me perfette. Il mio segno è stato assolutamente influenzato da quell’estetica. In generale io sono stato influenzato da quella dose di creatività straordinaria, ma soprattutto dalle sensazioni di quella felice parte della vita. Non ho mai pensato a come definire il mio stile, lo ha fatto per me un blogger americano, fra i primi a scrivere un pezzo sul mio lavoro. Lo ha chiamato “geometric retro style”, geometrò per gli amici.
Come nasce e si sviluppa un tuo disegno?
Nella mia testa, principalmente. La parte più difficile è la visualizzazione di ciò che si vuol disegnare. La mano non fa altro che “copiare” l’istantanea che si ha nella mente. Nella pratica, poi, disegno uno sketch a matita su carta, che poi trasferisco a computer dove inizia il percorso interamente digitale che mi porta a realizzare e completare l’illustrazione.
Hai una predilezione per i volti delle persone. Che cosa ti affascina di più dell’essere umano?
Nel suo ultimo libro, Gipi immagina che siano le lacrime a scolpire il viso di una persona, proprio come fa un fiume con la montagna. Le lacrime, i sorrisi, uno schiaffo, il sole dell’estate, il freddo dell’inverno, un bacio, la sofferenza, la gioia, le notti insonni, il duro lavoro: tutto contribuisce a dare forma ad un volto. Nel viso di una persona si può leggerne la storia. O almeno mi piace pensare che sia così e mi piace immaginare quella storia.
That’s amore, uno dei tuoi ultimi progetti, un viaggio in cui ironia e romanticismo si fondono in 40 illustrazioni. Com’è nata l’idea di affrontare uno tra i più nobili sentimenti, l’amore?
In realtà è nato per caso, da uno sketch di una coppia di ballerini. Quel disegno, che poi non è apparso nel progetto, ha dato il via a tutti gli altri, nei quali ho scritto degli “hippy ending” a storie in cui di amore ce n’era ben poco. Una sorta di “what if” in cui immaginavo cosa sarebbe successo se l’amore fosse entrato prepotentemente nella propria storia di una coppia. Mi sono divertito davvero molto a realizzare quelle illustrazioni e il fatto che tutti i libri siano andati esauriti in meno di un mese, mi fa pensare che abbiano divertito molto anche il mio pubblico.
Quale definizione attribuiresti all’ARTE? Che cos’è per te “arte”?
Emozione.
Molti teorici dell’arte ritengono che non tutto ciò che è frutto di creatività può considerarsi un’ Opera d’arte. Athur Coleman Danto filosofo analitico e artista afferma che ciò che determina la differenza tra un semplice oggetto e un’opera d’arte è quel mondo dell’arte fatto di istituzioni, teorie e regole. Concordi con questa considerazione nel definire che cos’è un’opera d’arte?
Credo siano la storia a decidere cos’è arte e cosa non lo è, cosa rimarrà e cosa no. Francamente mi annoia l’infinito (e sterile) dibattito su cosa è arte e cosa non lo è. Preferisco deciderlo da solo, sulla base delle emozioni che un’oggetto, un disegno o una poesia mi trasmettono. Mi sembra abbastanza inutile voler etichettare qualcosa come arte o non-arte. Volerla definire razionalmente, va contro il concetto stesso di arte.
Maurizio ferraris afferma che “avere rappresentazioni è la condizione dell’agire e del pensare, che sono le caratteristiche generalmente attribuite ai soggetti. […] così pure il desiderio o il timore, l’amore o l’odio, e insomma tutta la gamma dei sentimenti hanno bisogno di immagini. “sei d’accordo con questa affermazione? Qual’è per te il ruolo dell’immagine oggi?
Noi ragioniamo per immagini: ad esempio, pensando alla felicità, non visualizziamo la parola, ma un’immagine. Quello dell’immagine è un linguaggio universale, che non ha bisogno di traduzioni, che parla attraverso suggestioni che spesso sarebbe impossibile creare a parole. Il fatto di dire “viviamo in un mondo dell’immagine” per me non ha affatto un’accezione negativa, anzi.
Aristotele diceva che “l’anima non pensa mai senza immagini, e che pensare è come disegnare una figura”, cioè registrare e iscrivere, non si tratta solo del pensare per immagini, bensì di adoperare consapevolmente immagini e schemi per facilitare il pensiero. A tuo parere perché è così efficace la comunicazione visiva? Le immagini/illustrazioni possono essere informazioni visive tanto quanto un testo scritto o un documento?
Assolutamente. Come ti stavo dicendo, spesso le immagini sintetizzano o descrivono contenuti che altrimenti sarebbe impossibile fare con altri linguaggi. L’immagine non presuppone la conoscenza di un registro e per questo motivo è democratica. Mette chiunque nelle condizioni di “leggere” un contenuto. Pensiamo a quante informazioni riceviamo attraverso le immagini e che altrimenti faremmo fatica a recepire. E non dimentichiamo che impariamo a leggere proprio attraverso le immagini, associando delle figure alle lettere dell’alfabeto.
Oggi parliamo di immagini digitali, di superfici digitali, tu stesso nei tuoi lavori fai uso del computer. Alcuni critici affermano che il messaggio che si cela dietro le opere digitali perde la sua universalità e diventa classista e elitario, perché legato al possesso di dispositivi digitali. Che cosa rispondi a questa critica?
Credo sia molto più elitario un museo o una galleria, luoghi di difficile “accesso” popolare. É attraverso il digitale che sono nate forme di divulgazione completamente gratuite. E questo mi sembra l’esatto contrario di un comportamento classista.
L’illustrazione veniva definita come “l’immagine che accompagna un testo”. L’illustrazione oggi è qualcosa di molto di più, ha superato il suo significato originale. L’illustratore non è più soltanto un “figurinaio” ovvero un artista che descrive un testo con un’immagine, ma è un autore egli stesso: costruisce immagini. Che cosa puoi dire degli illustratori d’oggi? L’illustrazione ha forse nuove finalità?
L’illustratore è a tutti gli effetti un creatore di contenuti. Come dicevo prima, è grazie all’illustrazione che alcune suggestioni possono essere trasmesse al lettore. I colori e le forme, agiscono a livello inconscio e parlano direttamente, senza filtri. L’illustrazione oggi non è più solo accompagnamento o riempitivo. Ha una sua valenza specifica, frutto della consapevolezza di essere un linguaggio universale.
Una carriera di grandi soddisfazioni, quali sono i progetti ancora da realizzare? Qualche nuovo progetto in vista?
Quest’ultimo anno è stato davvero intenso e ricco di nuovi progetti che mi hanno visto coinvolto. Dalla mostra Illustri in Basilica Palladiana che ha riscosso uno straordinario successo, fino ad alcune collaborazioni eccellenti avute negli ultimi mesi. Sto lavorando ad alcuni progetti di cui al momento non posso ancora parlare e di cui sono particolarmente fiero. Sto lavorando anche alla mia prossima mostra personale, la prima fuori dai confini italiani: la inaugurerò il 18 Ottobre a Vienna. Inoltre sono già impegnato sulla prossima edizione di Illustri che, visto il grande riscontro avuto, diventerà un vero e proprio festival dell’illustrazione biennale. L’appuntamento è quindi per il Dicembre 2015.
Ultima domanda, dedicata ai nostri lettori, cosa pensi della Filosofia?
Rispondo con una citazione: “Filosofia e birra sono la stessa cosa. Consumate, modificano tutte le percezioni che avevamo del mondo”.
Da sempre intorno alla parola “arte” e al suo significato si è discusso ed è chiaro che questa non è definibile in maniera univoca e assoluta. Quello che risulta essere importante alla fine, è che l’arte sia, innanzitutto, una forma di comunicazione e Ale Giorgini con la sua testimonianza e le sue illustrazioni ne è esempio diretto.
L’arte, oltre ad essere atto creativo e libero, permette l’espressione di se stessi, di guardare la realtà e la vita dal proprio punto di vista personale, di conoscere e interpretare il mondo e di veicolare significati ma soprattutto l’arte ha la capacità di suscitare emozioni, e in questo si realizza il suo fine principale, quello appunto di comunicare.
Comunicare emozioni, deboli o intense che siano, positive o negative, ciò che conta è la grande capacità che l’arte possiede di essere “specchio del mondo” o comunque di un universo in cui l’artista è artefice con la sua visione originale, nel quale il fruitore poi può riconoscersi o meno.
L’arte con il suo linguaggio esprime da sempre il vissuto, il sentito, il pensato ma in modo unico e originale; essa è espressione della grande libertà con cui l’uomo può guardare e interpretare l’universo, il mondo e la vita quotidiana, libertà che poi si traduce in originalità.
Così le illustrazioni di Ale Giorgini, con le loro forme e colori, raccontano il mondo in maniera del tutto originale, senza filtri e con un linguaggio universale comunicano direttamente con il lettore, mettendolo nella condizione di leggere il dato contenuto senza possedere specifiche competenze e conoscenze ma semplicemente veicolando emozioni e suggestioni.
“Non c’è via più sicura per evadere dal mondo, che l’arte; ma non c’è legame più sicuro con esso che l’arte.”
Johann Wolfgang Goethe
La chiave di Sophia
[immagini concesse da Ale Giorgini]