Si è scritto molto sui fatti di Parigi del 13 novembre scorso, fiumi d’inchiostro per raccontare nel dettaglio quei momenti di puro terrore che hanno lasciato con il fiato sospeso e gli occhi gonfi di lacrime milioni di persone. Si è scritto molto quindi e molte volte impropriamente, ma non è questo ciò di cui voglio parlarvi per diversi motivi che ci porterebbero fuori tema. Ho ripreso, invece, gli avvenimenti del mese passato per soffermarmi sulla reazione politica della Francia, passata sottotraccia, quasi non la reputassimo degna di nota. In altre parole, la decisione di bombardare i territori in mano all’Isis (o Daesh), la mattina seguente agli attentati (anche sull’utilizzo improprio di questo termine bisognerebbe discutere), è stata considerata un’azione normale di fronte all’eccezionalità degli attacchi avvenuti il giorno precedente. In breve, la risposta sia esterna (i bombardamenti) che interna (la richiesta dello stato d’emergenza, misura in seguito prorogata fino a 3 mesi) data dalla Francia risultava essere necessaria. Da un punto di vista logico, insomma, rispondere con la violenza ad un atto di violenza è l’espressione più naturale (altra parola che correliamo innocentemente al termine necessario) concepibile dall’uomo.
Già a questo punto mi si potrà criticare di aver semplificato la situazione, di aver taciuto sui mille interessi e le migliaia di sfumature che ogni conflitto porta con sé. E’ vero. Però se ci si soffermasse su ognuno di questi aspetti si constaterebbe come seguano inevitabilmente una logica oppositiva -negativa.
Lo slogan “fare la guerra contro chi ti fa la guerra” sembra essere il principio primo, la Verità assoluta.
Vi sono vie o logiche alternative (altro vocabolo ormai utilizzato per fini denigratori) in grado di distinguersi dalle strutture cognitive imperanti? Si può pensare un sistema che si differenzi in maniera assolutamente positiva, quindi trascendendo la logica del negativo e del positivo inteso come non negativo, cioè negativo del negativo? Personalità di spicco hanno cercato di intraprendere questa via nel corso della Storia: Gesù (un modo gentile per sottolineare come la cultura occidentale sia andata abbastanza fuori rotta rispetto alle sue radici cristiane, difese in maniera becera ogni giorno dai mass media), san Francesco di Assisi, Tolstoj, Gandhi, Bertrand Russell e Martin Luther King sono solo alcuni esempi. Grandi simboli della Storia ai quali affiancherei una figura meno nota dal punto di vista storiografico: Aldo Capitini, l’organizzatore della prima marcia della pace in Italia, avvenuta il 24 settembre del 1961 tra Perugia ed Assisi in un clima fortemente influenzato dalla questione del terzomondismo e dal terrore delle bombe H.
Fin dagli anni Trenta, quando rifiutò di aderire al fascismo abbandonando così il posto da Segretario generale presso la Scuola Normale di Pisa, Capitini si impegnò ad assumere i principi gandhiani della non – violenza e della disobbedienza civile rielaborandoli a suo modo, in maniera puramente positiva. Per quanto riguarda il primo aspetto, unendo le parole “non” e “violenza “ – perché
se si scrive in una sola parola, si prepara l’interpretazione della nonviolenza come di qualche cosa di organico e dunque, come vedremo di positivo
(Capitini A., Tecniche della non violenza, Roma, Edizioni dell’Asino, 2009, p. 11)
che possa includere anche i violenti – Capitini dimostrò di aver riflettuto profondamente sull’inconscia violenza insita nel nostro linguaggio, una caratteristica che consente una manipolazione quotidiana, volta ad acuire la tensione (si veda il titolo del quotidiano Libero il giorno dopo gli attentati di Parigi), da parte dei maggiori mass media. Il secondo aspetto, la disobbedienza civile, venne ridefinito da Capitini in un orizzonte più largo: non solo come semplice azione di rifiuto, ma ponendosi in termini di compresenza e libero accordo, fondamenta di un modello di società, la omnicrazia, dove l’identità e le differenze andranno a coesistere senza rapporti di violenza. Solo il libero accordo, quindi, permetterà la formazione di appartenenze e partecipazioni libere da ogni necessità che consentiranno, condividendo la propria esperienza del mondo, di giungere ad una verità costruttiva che tenga conto delle diversità personali e culturali che inevitabilmente esistono.
Un’utopia (altro vocabolo volto ad esautorare e delegittimare in partenza qualsiasi proposta alternativa) mi direte? Non credo. Aldo Capitini era un uomo d’azione: stilò una serie di tecniche individuali e collettive per costruire una realtà nonviolenta concreta, un sistema facilmente applicabile a qualsiasi azione personale e globale.
Un matto? Non fu l’unico: alla marcia parteciparono 10 000 persone in un’atmosfera di festa al di fuori di qualsiasi irreggimentazione partitica. Un’altra via sembrava possibile.
Se siete d’accordo, pensate alternativo liberamente.
Buon Natale
Bibliografia:
- Capitini A., Tecniche della nonviolenza, Edizioni dell’Asino, Roma 2009.
- Capitini A., Il potere di tutti, La nuova Italia, Firenze 1969.
- Madera R. – Tarca L. V., La filosofia come stile di vita, Mondadori, Milano 2003.
- Tolomelli M., L’Italia dei movimenti, Carrocci, Roma 2015.