«Ogni impulso che vuole essere soddisfatto esprime la propria insoddisfazione per lo stato presente delle cose: ma come? Forse il Tutto è composto di semplici parti insoddisfatte, ognuna delle quali ha in testa dei desideri? E il “Corso delle cose” è forse appunto il “Via da qui”, il “Via dalla realtà”? La stessa eterna insoddisfazione? La desiderabilità è forse la stessa forza motrice? È Deus?» (1).
Nietzsche esordiva così la sua critica sul Tutto di Kantiana memoria, a favore di un punto di vista più relativo, più particolare, e qui ce ne serviremo per ingabbiare quella forza motrice, quel desiderio, quel “Deus”, che muove l’uomo sin dalla sua apparizione sulla terra: il desiderio d’immortalità.
Come possono degli esseri biologicamente portati alla morte, raggiungere questa utopia? Si desidera un “Tutto” del tutto – scusate il giro di parole – indesiderabile e profondamente inconcepibile per la scienza e per la natura: persino le rocce si frantumano e l’acqua degli oceani evapora via e si ricambia di volta in volta. Questo profondo desiderio trova nell’arte e nella religione le sue principali valvole di sfogo; da qualche decennio popola anche gli scenari fantascientifici del cinema e del teatro e da qualche anno persino la scienza e discipline come la sociologia e la filosofia sembrano dare particolare attenzione a questo primordiale desiderio umano. Attenzione scientifica che vi arriva attraverso gli studi che analizzano il rapporto, oramai stretto, che vi è tra tecnologia e corpo.
Sempre Nietzsche alla fine della sua “Critica sui valori supremi” inscatola così, dopo aver descritto e smontato il suo Tutto e l’impianto valoriale umano, l’evoluzione umana:
«Acquistare potere sulla natura e inoltre un certo potere su di sé. La morale è stata necessaria per far vincere l’uomo nella lotta con la natura e con la bestia selvaggia […] Se si è acquisito il potere sulla natura, si può utilizzare questo potere per formarsi ulteriormente come uomini più liberi: volontà di potenza come elevazione e rafforzamento di sé» (2). Cos’è questa volontà di potenza se non quello stesso desiderio d’immortalità – da raggiungere attraverso il potere e grazie alla forza del proprio ego, con il quale plasmare il mondo circostante ed influenzare il futuro anche in propria assenza, anche dopo la propria dipartita?
Dalla Rivoluzione Industriale, con il progresso della scienza, della tecnologia e dell’umana ragione e del conseguente processo di secolarizzazione della religione predominante in occidente, questo “desiderio” non sembra affievolirsi; non viene digerito dall’uomo, piuttosto si rafforza attraverso la scienza e con l’abbandono dell’ascetismo religioso a favore di un ascetismo laico. Ascesi laica che, con l’affievolirsi delle strutture religiose, in occidente, trova terreno fertile tra le trame del mercato e del sistema sociale. Ponendola in questi termini, Durkheim e Weber avevano ragione nel rintracciare l’essenza umana e del suo agire più nella società civile e nella sua organizzazione che nelle dottrine religiose, le quali sembrano essere dei semplici veicoli dell’essenza della società umana.
E l’arte? L’arte anch’essa cambia e si adatta al contesto ed in virtù di questo cambiamento di pensiero, sociale. Un adattamento dell’arte al tessuto sociale, che dalla rottura della forma dei primi espressionisti europei porta dritti ad un periodo, dal punto di vista artistico, così prolifico da non essere più eguagliato: per tutto il novecento Dadaismo, Futurismo, Metafisica, Fluxus, Happening, Pop Art etc. etc. popolarono il mondo e spazzarono via l’arte “vecchia” anche dal contesto sociale oramai sempre più visceralmente meccanico, industriale e spoglio dalle ingerenze e dalle intrusioni delle dottrine religiose. Il mondo è cambiato, lo spirito dell’uomo si sta forgiando sotto ferri più duri ed ecco che il mondo artistico risponde con grande animosità e desiderabilità. Il mondo artistico concorre con quello scientifico a soddisfare e a comunicare quell’impossibile – squisitamente umano – desiderio d’immortalità.
Abbiamo corso molto, forse troppo; è impossibile enunciare, citare, descrivere tutto e tutti i particolari di quel “Tutto” che non è altro il prodotto della mente: « […] la forma del corpo naturale che ha la vita in potenza» (3). Soffermiamoci su una parola che abbiamo già visto precedentemente: Cyborg. Una metafora che «rappresenta la fusione, la combinazione o la relazione parassitaria tra la sfera biologica e quella culturale, tra i prodotti dell’evoluzione e quelli della fabbrica» (4); una metafora che ci aiuta a capire quanto sia importante, dal punto di vista sia artistico che sociale, l’influenza delle nuove tecnologie, che ha contribuito e che tutt’ora contribuisce a trasformare l’uomo, l’idea che egli ha di se stesso e del mondo in cui vive.
Cosa hanno in comune buona parte dell’arte contemporanea, la società contemporanea e quel desiderio d’immortalità prima citato? Il rifiuto del corpo! Tutta la cultura popolare contemporanea, la stessa evoluzione delle biotecnologie furono e sono permeate dal rifiuto del corpo: la predisposizione oramai profonda di coniugare mezzi con fini, l’abbandono quasi del tutto della concezione positiva, seppure a volte tragica, di “Natura”; dopo generazioni e decenni vissuti a contatto con macchine e tecnologie; l’idea del fallimento, del degrado, della morte o dell’inefficacia sta via via per essere bandita dal pensiero umano: come macchine anche i nostri corpi, attraverso la scienza, la chirurgia, le semplici modificazioni del corpo – persino in arte, attraverso la body painting – possono e devono essere sostituiti ed in nome dell’infallibilità dell’uomo; della potenza dell’uomo sulla Natura e sulla morte. Le nostre conoscenze scientifiche sul DNA umano ci consentono di pensare ad una trasformazione totale non solo dell’uomo come idea, come rappresentazione e come oggetto bensì anche come individuo, come corpo, come soggetto. Si prospetta anche la creazione di un universo completamente virtuale: come se tutti noi potessimo un giorno andar a vivere dentro La Guernica di Picasso – per tutti gli spiriti battaglieri o masochisti – o dentro l’ultima cena di Leonardo Da Vinci – per tutti gli spiriti ascetici e fortemente religiosi. Più che il mondo scientifico, sembra il mondo artistico a progettare il futuro: un estro ebbro di frenesia e di desiderio.
Ma al di là della fantasiosa desiderabilità dell’estro umano e delle ipotesi fantascientifiche di una migrazione totale della mente da un corpo a un macchina, dobbiamo ammettere che quando siamo sconnessi dalla tecnologia – o meglio, dalla rete web – percepiamo come una parte di noi monca: assente. Il nostro corpo oramai non è solo quello biologico, ma anche quello tecnologico. Le prospettive sono cambiate e continuano a cambiare via via che il tempo passa e le tecnologie migliorano la nostra presenza sulla Terra e tra tutte queste, fantasiose e non, l’ibridazione – ossia l’inclusione delle qualità e delle potenzialità delle macchine nel nostro corpo e non viceversa – resta quella più plausibile a livello scientifico ed eticamente e moralmente accettabile dalla gran parte degli esseri umani. Ma questo processo d’ibridazione non è una novità nel panorama umano; un processo rintracciabile dalle primitive modificazioni del corpo ai tatuaggi, dalla body painting alla transizione sessuale. Un processo che adesso urge di una maggiore attenzione e non perché sia nuovo, piuttosto perché le tecnologie umane, se senza controllo, rischiano di spazzare via non solo l’idea del corpo umano ma anche l’essenza, lo spirito, dell’uomo. Il solo estro istrionico dell’uomo-artista, della vita, è un vantaggio in quanto monitora e prefigura il futuro ed al contempo uno svantaggio se questi tende in via assolutistica ad un futuro condizionato semplicemente dal suo desiderio e dalla sua volontà di potenza e d’immortalità.
L’ampliamento del campo percettivo e esperienziale e di conseguenza di quello emotivo e valoriale derivanti dagli studi sul genoma umano – al di là del mito e della fantascienza – pone davanti all’uomo un non-nuovo problema: quello della definizione della propria identità e dei suoi pilastri portanti ed in tutto ciò l’arte, l’estro artistico, non può che mettere l’accento sull’urgenza dell’apertura di un ampio dibattito sul tema enfatizzandone le premesse e prefigurandoci le sue molteplici prospettive. Arte e scienza vedono l’uomo come quel “ponte” profetizzato dal filologo tedesco Nietzsche, che porta dritto al “Superuomo” o per meglio dire, all’uomo delle stelle; alla conquista dell’Universo attraverso la riscoperta della sua umana essenza.
C’è dell’arte nell’uomo?
Salvatore Musumarra
Citazioni
(1) Friedrich Nietzsche, La Volontà di potenza, Bompiani 2013;
(2) Friedrich Nietzsche, La Volontà di potenza, Bompiani 2013;
(3) Alberto Giovanni Biuso, Cyborgsofia, Il pozzo di Giacobbe 2004;
(4) Giuseppe Longo, Il nuovo golem, Laterza 1998.