“Viale del tramonto” non è solo un film; è un pezzo di storia del cinema americano, un pilastro eterno e senza età del grande schermo. Una rappresentazione dissacrante e ironica della grande Hollywood dell’età d’oro. Diretto da Billy Wilder nel 1950, interpretato da William Holden, Gloria Swanson ed Erich Von Stroheim, Sunset Boulevard è la storia di una grande diva del cinema muto, Norma Desmond, ormai troppo matura e sola per tornare ai fasti di un tempo, che vive dimenticata da tutti in una grande villa sulle colline di Hollywood. Il personaggio è interpretato da Gloria Swanson, una grande attrice e celebre star del muto, che qui recita una sorta di parodia cupa di sé stessa, con grande espressività e una bravura magnetica.
La vicenda ci viene presentata in un lungo flashback da una voce fuoricampo, quella del protagonista Joe Gillis (William Holden), giovane sceneggiatore di Hollywood, che racconta il ritrovamento di un cadavere che galleggia nella piscina di una villa sul Sunset Boulevard, a Los Angeles. Gillis è uno sceneggiatore squattrinato e in grave difficoltà economica; un giorno, scappando da alcuni creditori che lo inseguivano per sequestrargli l’automobile, si rifugia in un garage di una grande villa apparentemente abbandonata. In realtà scopre che la proprietaria della casa è Norma Desmond, una cinquantenne ex diva del cinema muto, che vive in solitudine insieme al suo maggiordomo Max (Erich Von Stroheim). Incuriosita da Gillis, Norma decide di fargli leggere il copione che sta preparando per un grande film, che segnerà il suo ritorno sulla scena. Dopo un’iniziale titubanza il protagonista lavora sulla sceneggiatura e rimane ospite della Desmond per alcune settimane. Le intenzioni dell’attrice però vanno al di là di un semplice rapporto lavorativo e la relazione tra i due diventa complicata.
In questo film il cinema racconta sé stesso, Hollywood racconta Hollywood in una delle commedie più nere e inquietanti mai rappresentate. Le atmosfere tetre e fatiscenti sono fotografate con un bianco e nero insolito, pericoloso, carico di un’angoscia perenne. La vicenda si muove sempre in bilico tra realtà e finzione, ci si immerge in luoghi e persone vere (il grande regista Cecil B. De Mille che impersona sé stesso), il cancello degli studi Paramount, la lunga strada degli studios, con le sue caratteristiche scenografie, così finte e posticce ma con un fascino intramontabile. E infine, sullo sfondo, l’immortale Sunset Boulevard che con le sue grandi ville e le palme fa da osservatore silenzioso, un protagonista che abbraccia la storia e la riporta allo spettatore.
“Sunset Boulevard” è un film lungimirante, che spiazza, quasi crudele nella sua sincerità. Ne emerge un ritratto del cinema e in particolare di Hollywood (che in quel periodo stava vivendo la sua prima età dell’oro), decisamente critico, in una “caduta degli dei” che fa riflettere su quanto possa essere effimera la divinizzazione di un attore. I grandi divi del muto, semidei silenziosi con gli occhi sgranati, ora sono soli, ridotti ad essere relitti abbandonati che nessuno ricorda più. L’atmosfera cupa, dai toni gotici della fatiscente villa di Norma, porta allo spettatore un senso di profonda tristezza e nostalgia; le decine di foto sparse ovunque, in un tentativo di fermare il tempo e di continuare a vivere una gloria ormai destinata al passato, di un’epoca chiusa e dimenticata, sono lo specchio più vero e sincero di ciò che è Norma, una donna preda del suo ego, il personaggio del muto che non vuole arrendersi ad una vita di suoni. Emblematica la battuta che rivolge a Gillis nella scena della proiezione privata: ”Non avevamo bisogno di parole, avevamo dei volti!”.
È straordinario quanto questo film sia attuale; sono passati decenni dal muto, dalla Hollywood degli anni ’50, da una generazione di attori che con le loro interpretazioni hanno costruito il cinema di oggi. Eppure la caduta dei miti, l’inadeguatezza e la vecchiaia sono rimaste; i grandi attori, splendenti sotto i riflettori, sono più fragili di quanto possa sembrare, spesso vittime di loro stessi, delle loro maschere che non vogliono far cadere, nel tentativo di piegare il tempo alla propria volontà, cercando di cambiare la vita come un ciak sbagliato. Tutto ciò può essere colto dalla scena finale di questo film, dal volto inquietantemente espressivo di Norma, dai suoi occhi spalancati per il suo ultimo primo piano; una lucida follia di una stella che ha brillato per alcuni anni e che inesorabilmente si è spenta, senza aver avuto la forza e il coraggio di continuare a vivere.
Lorenzo Gardellin