Viaggiare significa uscire dai propri confini, raggiungerli per porsi di fronte a loro, e poi valicarli con un passo soltanto, senza guardarsi indietro. Vuol dire gettarsi e tuffarsi a capofitto in un ignoto attraente, nella confusione babelica di quello che è un vasto oceano colmo di opportunità, possibilità, realizzazioni tutte così differenziate e imprevedibili, significa capire che forse non è a casa che si esaudiranno e colmeranno i nostri desideri più grandi. L’anno scorso lo vissi sulla mia pelle quando Zeta decise di affrontare la strada per raggiungere i suoli olandesi e lì cercare ciò che in patria non aveva trovato: io mi offrii di accompagnarlo con la scusa di un’avventura, e di lì a pochi giorni sfrecciavamo attraverso l’Europa dritti verso Enschede, nel sottile confine tra le verdi Netherlands e la Germania. Gli incontri che facemmo, le nottate sotto la pioggia, le feste, le corse, il girovagare ramingo per strade mai battute, tutto questo finì per risultare un vissuto, un’esperienza pratica e attiva, la descrizione oggettuale di una sola, singola dimensione in quel multiverso infinito che è la destinazione del viaggio. Qui le metafore si sprecano, i topoi di questo tema sono già stati fissati, per di più da qualche millennio, eppure è sempre inesauribile la sorpresa che colpisce chi ritrova sé stesso in un luogo che non gli appartiene: viaggiando non si sa e non si deve sapere a cosa davvero si va incontro, ci si perde là dove può accadere l’impensabile e se mai ci si dovesse imbattere in ciò che è familiare, ecco che in quel momento l’incanto svanisce.
Ma come?
Ho voltato le spalle a ciò che mi descrive, a ciò che è il mio contesto, la mia situazione, non cercavo quello che già sapevo, allora perché anche qui le risposte sono le stesse? Esperire simili riflessioni, detto schiettamente, può far male, rendersi conto all’improvviso che nulla è diverso da ciò che già conoscevi sul mondo, che nemmeno là dove ogni nuova storia era possibile si può e si potrà mai soddisfare quel divorante, irrequieto desiderio ultimo che mi rende umano, no, no, la risposta non può essere una sola, la mia stessa coscienza non ammette una simile concezione del cosmo, e nemmeno la scienza, le filosofie, la politica e le altre arti s’accontentano di un solo risultato. Ma la realtà, avvezza com’è a dar schiaffi in faccia, non si risparmia neanche in queste occasioni, “È ingenuo credere che ogni teoria concerna qualcosa di unico” ci dice tutta cinica e rassegnata, “Alla fine, sono tutte quante modi di dire la stessa cosa”, e noi questa condanna la viviamo senza sosta. Tutte le strade portano a Roma, può essere una risposta sola certo, ma comunque esaustiva.
Significa che viaggiare sia qualcosa di illusorio, o addirittura inutile? Non mi azzarderei mai a sostenere eresie del genere, perché chi viaggia non perde mai la speranza, ma cerca, cerca, cerca con celata disperazione quella sorgente che lo abbagli con una luce diversa, non sa quando e se la troverà, ma così non deve essere in quanto ciò lo lascerebbe fermo, saprebbe già se o fin quando cercare, bloccato e pietrificato nella positività morta, no, chi viaggia sa che quella ricerca angosciata è ciò che le tiene in vita, non può, non deve e non vuole abbandonarla, no, chi viaggia si riposerà solo sottoterra. Io cosa ho sentito? Cosa mi ha detto la tormentata natura olandese? Che cosa ho letto nei visi delle persone incontrate, conosciute, cosa ho colto e capito nelle parole, negli sguardi, nel vivere stesso di tutti quanti loro? Non voglio dare una conclusione a dubbi come questi, ma il ritorno portò l’oblio, la dimenticanza, ti ritrovi di nuovo a casa, osservi il consueto e sei perplesso perché, accidenti, in quest’aria sento anche qualcosa di quanto vi era nell’altra terra, così lontana nel passato, nel tempo e nello spazio, doveva essere tutto diverso, ero evaso dalla mia prigionia, dalle abitudini occlusive, dal cappio soffocante, ne sono sicuro, queste non sono le stesse sbarre di quella stessa gabbia.
Tutto era finito in un lampo, dieci giorni archiviati, il passato confuso in un tempo senza significato, impreciso e caotico, solo i bei ricordi e la nostalgia che avanza fredda come un’ombra. Siano maledetti i bei ricordi, il mondo è solo una gabbia più grande, e viaggiare è volerla esplorare da cima a fondo, ma ciò non ne sminuisce la valenza perché così conquista il nome stesso di vita, il voler evadere è l’anelito stesso dello spirito, è nomen omen di ciò che siamo, e assecondare questa voce, auscultare il cuore della nostra natura, è andare a conoscere quella gabbia, saggiarne la consistenza per poter magari anche vincerla, bisogna muoversi, muoversi, muoversi, e mai restare ad aspettare Godot.
Leonardo Albano
Aspirante narratore e documentarista, seguo l’avventura anche in capo al mondo, la musica mi accompagna e l’ironia mi tiene in vita. Classe 1994, la formalità è la mia peggior nemica, gli spazi infiniti e la fantasia tutto ciò che cerco. Innamorato della luna e della notte, sogno di fare il pescatore tra i ghiacciai islandesi e di viaggiare nello spazio, ma nel frattempo faccio il bravo filosofo e capisco tutto senza inventare niente.