Home » Rivista digitale » Etica e scienze » Ecologia » Antropocentrismo e crisi ecologica: un nesso inscindibile

Antropocentrismo e crisi ecologica: un nesso inscindibile

Affermare che la crisi ecologica non sia semplicemente una delle molteplici sfide che l’uomo contemporaneo deve affrontare, ma la più importante, la questione fondamentale, la più eminente ed urgente, al punto tale che tutte le altre sono contenute e si propagano da questa, credo sia oggi un dovere imprescindibile se si ha a cuore la verità.

Due sono i motivi fondamentali − essenzialmente connessi, in quanto l’uno segue l’altro − che danno alla questione ecologica il carattere della priorità. Il primo dei due è un accadimento, sublime e terrificante nello stesso tempo: la Vita, nella forma in cui s’esprime sul nostro pianeta, in tutte le sue sfaccettature, sia dal punto di vista materiale che dal punto di vista spirituale, si trova nella condizione di essere in pericolo. E questa condizione di pericolo in cui versa la Vita è dettata dall’uomo stesso! Tolte di mezzo le catastrofi naturali, nessun ente sino ad ora è stato capace di un’azione modificatrice nonché distruttrice dell’essente di immane portata: l’uomo si è fatto, così, il problema della Vita. Il secondo motivo, effetto del primo: il farsi dell’uomo come il problema della Vita, genera un terremoto spirituale mai avvenuto prima, che scuote con violenza le fondamenta dei saperi e delle credenze che egli ha avuto sino ad ora su se stesso, sulla Natura e su Dio. In gioco, in definitiva, è l’intero orizzonte culturale entro cui abbiamo interpretato l’esistenza, orizzonte caratterizzato nella sua essenza da una visione antropocentrica.

In cosa consiste quest’antropocentrismo? Nell’idea che «l’uomo è la misura di tutte le cose» e che tutto l’essente, finendo addirittura a coinvolgere il Principio primo d’ogni cosa, esista in funzione dell’uomo. Tutto, per questo, diventa anche antropomorfo. Ma proprio la sofferenza e la distruzione prodotta dall’uomo alla Natura ci dimostra, incontrovertibilmente, il contrario e l’errore di fondo di questo paradigma: l’uomo non è assolutamente il signore indiscusso della Terra, il dominatore incontrastato, che ha il potere di assoggettare l’intero «creato» a suo uso e consumo; che la Natura non è un oggetto o solo una macchina regolata da leggi del meccanicismo che l’uomo può conoscere e utilizzare a proprio piacimento senza un agire etico, né una riserva infinita di energie del quale l’uomo può servirsi senza conseguenze negative; che Dio, in ultimo – ed è per me il punto della questione più importante –, non è stato ancora conosciuto dall’uomo, ed egli non è né il Dio della teologia cristiana, che ha un rapporto esclusivo con la sua creatura preferita («l’uomo creato a sua immagine e somiglianza»), di cui già da tempo si è annunciata la «morte»; né il Dio del panteismo, incatenato anch’egli alle leggi ferree del determinismo che nega ogni forma di libertà. Entrambe le divinità non sono in grado di partorire delle teodicee capaci di dare una ragione esaustiva alla presenza del male e della sofferenza nel mondo in senso generale, come del male e della sofferenza prodotti dall’agire umano. L’inconsistenza della riflessione filosofica sulla divinità si mostra con evidenza proprio nel nostro tempo, dove il male e la distruzione dell’agire umano hanno raggiunto un livello generalizzato e profondo da porre seriamente a rischio il futuro del nostro pianeta. Per questo, il fallimento della civiltà occidentale e del suo paradigma antropocentrico, è qualcosa capace ora di interessare ogni persona, proprio per la spaventosa estensione dei suoi effetti.

È la crisi ecologica, dunque, a renderci consapevoli (se vogliamo) di questi accadimenti: il fallimento della concezione della divinità – oramai in maniera conclamata! –, che è in ultima istanza il fallimento dell’uomo e del suo rapportarsi alla Natura. È quest’evento dalla portata terribile a costringerci a re-interrogarci. Mai come nell’epoca contemporanea, dinanzi alla distruzione e alla desertificazione della Vita da lui prodotta, l’uomo si è fatto anche un problema a se stesso, un punto interrogativo su di sé: «chi è l’Uomo?»

Nella sua storia l’umanità si è trovata più volte, in maniera ciclica, a dover rispondere alla domanda in cosa consista la sua essenza ultima. Potremmo dire che la storia del pensiero occidentale è stata scandita dalle varie risposte date a questo quesito e, come effetto di queste, dalle caratterizzazioni diverse date alla Natura e a Dio. Seppur nella diversità delle risposte, a volte anche completamente opposte, tutte, salvo rare eccezioni, hanno in comune l’avere una discendenza antropocentrica. La novità del quesito posto nella nostra era sta nel fatto che l’uomo è costretto a dare una risposta veramente nuova su di sé, non più all’interno di questo paradigma. Più precisamente: l’uomo è obbligato a costruire una nuova e fondata interpretazione dell’esistenza, a partire dai suoi errori ed orrori – ne va della suo stesso futuro!

A ben guardare, la problematicità che sorge con l’uomo nel seno dell’esistenza nasconde in sé qualcosa di più essenziale che la precede, perché la fonda e la permette: l’uomo è per essenza (ontologicamente) l’ente contro-naturale, colui che trascende la Natura e, in un senso generale, la Vita. Per questo, potremmo definire l’uomo come il paradosso dell’esistenza. Di questa nostra paradossalità siamo sempre stati chiamati a rispondere, ma nell’era del nichilismo compiuto e della crisi ecologica, questa paradossalità si fa finalmente e completamente manifesta e ci interroga da vicino, senza lasciarci respirare. Noi dobbiamo, una volta e per tutte, comprendere se questa nostra paradossalità sia stata una scelta libera o un destino inesorabile. La risposta, di riflesso, segnerà la conoscenza del Fondamento Primo di ogni cosa.  

Veramente chi siamo, cosa sia la Natura, chi sia Dio, e quale sia la relazione tra i tre, possiamo comprenderlo nuovamente oggi a partire dal grido di sofferenza di Madre Natura che esige giustizia. Questa è una rivoluzione senza precedenti!

 

Davide Maranta

Nato a Napoli, laureato alla triennale in filosofia all’Università Federico II con una tesi sull’interpretazione cristologica in Nietzsche, con il massimo dei voti, al momento lavoro alla tesi magistrale in filosofia sul concetto di “Dio in divenire” nel filosofo Max Scheler. I miei studi vanno in due direzioni ma strettamente connesse e alla fine coincidenti:da un lato la rivalutazione della sfera emozionale umana, come vera e propria facoltà conoscitiva che ha una propria “legalità” diversa da quella della ragione e, quindi, non sfera dell’irrazionale come la si è bollata sino ad ora; dall’altro il riproporre la domanda, che caratterizza da sempre la ricerca filosofica, sul fondamento ultimo di ogni cosa. Entrambe le direzioni partono da una sentita riflessione sulla crisi ecologica ed hanno come ultimo fine il superamento della stessa, a partire dalla fondazione di un nuovo rapporto uomo-Natura.

 

[Photo credits: Evan Kirby on Unsplash]

Gli ultimi articoli

RIVISTA DIGITALE

Vuoi aiutarci a diffondere cultura e una Filosofia alla portata di tutti e tutte?

Sostienici, il tuo aiuto è importante e prezioso per noi!