È celebre il libro di Erich Fromm “Avere o Essere”, geniale nelle sue intuizioni, ci mostra come le cose che crediamo di possedere in realtà ci possiedano, come l’abbandonarci a una spirale di consumismo smodato non possa che condurre alla perdita della nostra identità più profonda.
Nella società della comunicazione, del gossip, della sovraesposizione mediatica quel libro sarebbe ancora attuale? La mia tesi è che il titolo andrebbe cambiato in “Apparire o essere”, il vero dilemma della contemporaneità.
L’illusione maggiore del mondo dei new media, della televisione e dei social network è l’aver fatto pensare che la felicità possa essere un regalo e non il frutto di un lavoro faticoso, il tutto a scapito della capacità di affrontare la realtà della vita.
Eppure proprio questo mito circonda le figure del mondo delle star di Hollywood e nostrane.
Film e fiction ci restituiscono ogni giorno una realtà distorta che si sovrappone alla realtà autentica, rendendo le immagini deformate e diafane.
Mi stupisco nel vedere che, nonostante in questi decenni la ricerca storica e i pettegolezzi giornalistici abbiano distrutto il mondo mitico di Camelot di tante star, ad esempio John Kennedy, i miti abbiano resistito impunemente.
Ad esempio si palesa che la famiglia Kennedy ha raggiunto la ricchezza ed il successo in modi non del tutto limpidi, partecipando al contrabbando di alcolici durante il proibizionismo, o legandosi a gruppi della mafia irlandese.
Dalle numerose biografie risulta che il padre Joseph era un despota nei confronti dei figli e della moglie Rose, che aveva continuamente tradito; che l’ascesa alla presidenza era stata accuratamente preparata dal padre, prima per il figlio maggiore morto in guerra, poi per John, come un’apoteosi del suo successo e del suo potere; che i figli, e John in particolare, avevano ereditato da lui l’infedeltà seriale, l’ambizione e qualche rapporto di troppo con la mafia. Senza parlare del contegno equivoco tenuto dal figlio Edward nell’incidente in cui la segretaria-amante trovò la morte.
Di quanti personaggi nostrani si potrebbero dire cose analoghe o forse peggiori seppur sotto aspetti diversi? Eppure il mondo di Camelot resiste inesorabile non più votato agli alti ideali, ma all’apparenza che nasconde la verità, la fragilità, l’essenza delle cose.
In questo momento di crisi della società e dei valori, in cui sembra che non solo l’economia, ma la stessa istituzione familiare, aggredita da ogni parte, stiano vivendo una crisi forse fatale, la nostalgia verso quello che potrebbe essere e non è ci porta a credere che la famiglia Kennedy perfetta e felice sia esistita e basta guardare i nostri profili Facebook per capire come tale dimensione allucinogena sia diventata pervasiva.
Guardate l’ostentazione delle foto, delle vite felici, quante volte la perfezione viene messa in mostra? Relazioni perfette nascondono mostri e poi ci stupiamo vedendo i profili Facebook del tutto normali di persone che magari hanno massacrato la propria famiglia e sotto l’orrore sorge da profili banali, normali, terribilmente simili ai nostri.
Ci terrorizza il volto umano dei mostri, della nostra natura, che si possa pubblicare la foto del compleanno della propria moglie e della propria figlia e magari assassinarle la sera stessa.
Da sempre l’umanità ha nutrito un certo timore per l’immagine raffigurata, basti pensare al celebre romanzo “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde, le nostre foto pubblicate sui giornali di moda, trasmesse dalla pubblicità e dalla televisione non raccontano forse la storia che avremmo voluto vivere? Raffigurano persone bellissime e piene di grazia ed eleganza a cui vorremmo somigliare, un mondo di successo, ricchezza, eros e fedeltà, libertà e affettuosità verso i figli, tutto si combina meravigliosamente senza incontrare ostacoli.
Certo si tratta di un modello impossibile, lo sappiamo tutti, e infatti non è veritiero, ma corrisponde troppo spesso ai nostri più profondi desideri.
A dispetto della realtà ormai conosciuta, preferiamo invece FAR FINTA di credere che sia vero, che tutto ciò sia possibile.
La felicità è possibile, come essere se stessi, ma non è un processo che avviene all’improvviso come ci induce a credere la cinematografia con la bellezza del montaggio. Uno vuole ballare? Scene accattivanti di allenamento e via è un maestro di ballo! Una vuole diventare maestra di arti marziali e combattere per il bene dell’umanità? Il gioco è fatto, affianchiamole un maestro giapponese e avanti tutta di “metti la cera e togli la cera” come in Karate Kid e dopo due mesi è già pronta per affrontare orde di ninja.
Mi spiace, ma chi vive e convive con l’esistenza sa bene come questi processi derivino dal duro lavoro quotidiano, faticoso, un percorso tra spine e delusioni, la nostra società non aiuta certo ad affrontare la vita con le sue immagini plastificate e i suoi slogan rassicuranti.
Dovremmo avere il coraggio di ammettere che le nostre foto ostentate su Facebook e date in pasto alla massa sono troppo spesso la misura di ciò che non riusciamo a essere e al posto di lavorare per concretizzare l’ideale finiamo per limitarci a FAR FINTA di essere come vorremmo.
Matteo Montagner
[immagini tratte da Google Immagini]