Tutta l’arte è artigianato, ma non tutto l’artigianato è arte. Con questa affermazione (non comprensiva dell’arte sperimentale e d’avanguardia) potremmo avere esaurito tutto ciò che si può dire su questo argomento, a meno di non voler compiere l’impresa, affatto ardua e molto soggettiva, di individuare quel limite che separa ciò che è arte da ciò che va considerato come prodotto artigianale senza valenza artistica. A questo proposito, quindi, ci sono numerose considerazioni da fare, soprattutto in relazione alla posizione generalmente assunta a livello accademico nei confronti delle arti cosiddette “minori”, oggi definite arti applicate, troppo sovente accostate a un concetto di alto artigianato inteso con accezione quasi dispregiativa e, oserei dire, snob.
Le arti “maggiori”, secondo una definizione ormai datata e obsoleta, sono la pittura, la scultura e l’architettura, mentre rientrano nella categoria di arti “minori” tutte quelle forme artistiche che prevedono la lavorazione di materiali preziosi o di lunga gestazione, come l’oreficeria, la ceramica, il mosaico e molti altri. Nonostante questa gerarchia sia oggi parzialmente superata, resistono tuttavia le vestigia di questa visione di stampo vasariano, evidenti per esempio in qualsiasi manuale di storia dell’arte, dove pittura, scultura e architettura la fanno da padrone e le “arti applicate”, il più delle volte, non vengono nemmeno menzionate.
L’assurdità di questo sistema gerarchico viene tuttavia messa a scoperto proprio dagli stessi manuali, che, per quei periodi storici nei quali le testimonianze pittoriche e scultoree scarseggiano (Medioevo in primis), propongono come massimi esempi di produzione artistica opere di oreficeria e avori. Sono numerosi, anche nelle epoche successive, gli oggetti prodotti con queste tecniche che, per qualità esecutiva e contenuti, sono opere d’arte a tutti gli effetti, che nulla hanno da invidiare anche ai dipinti più celebri. Tuttavia la storia dell’arte di età moderna e contemporanea, incentrata sulla feconda e vastissima produzione pittorica e scultorea, tende a ignorare tutta quella produzione artistica che, per il suo stretto legame con i materiali di cui è costituita, viene banalmente considerata artigianale, con quell’accezione negativa cui ho accennato prima.
Va subito sottolineato, però, che anche pittura e scultura sono tecniche artigianali, e che qualsiasi opera d’arte è innanzitutto un prodotto di altissimo artigianato. In pittura, per esempio, la preparazione della tela, dei pigmenti e la stesura stessa dei colori sono fasi fondamentali di un lavoro che si impara solo con una lunga pratica all’interno di botteghe e accademie. La scultura ha forse un carattere ancor più “artigianale”, perchè la sua buona riuscita è in grandissima parte dipesa dalla buona conoscenza del marmo e delle sue proprietà.
Cosa rende dunque un’opera degna di essere definita artistica? Non il materiale o la tecnica con cui è stata eseguita, ma piuttosto un insieme di caratteristiche che la distinguono da altre creazioni meramente artigianali: innanzitutto l’inventio, ovvero l’originalità della composizione; in secondo luogo il significato e la rappresentatività del manufatto in relazione a un’epoca, un committente o un gusto diffuso, anche secondo una prospettiva di innovazione; infine la perizia esecutiva, che possiamo definire come “qualità”.
L’opera d’arte, per essere tale, deve dire qualcosa a chi la osserva, deve dimostrare, mediante queste caratteristiche, di essere unica e insostituibile, raffinata creazione che supera la sua materialità per assumere un’aura magica e distaccata. Ecco dunque che, sotto quest’ottica, la vecchia divisione in arti maggiori e minori può talvolta ribaltarsi: una scultura in corallo può essere non solo una curiosa creazione artigianale, ma una vera e propria opera d’arte con una storia e un significato tutti suoi, mentre una copia ottocentesca di un celebre dipinto di Raffaello rimane un complesso lavoro artigianale senza valore artistico, mancando totalmente in essa l’aspetto dell’inventio.
Ecco che allora l’antitesi tra arte e artigianato, di fatto inesistente in quanto l’una evoluzione dell’altro, si sposta dalla forma ai contenuti, dalla materia al significato. Se valutati sotto questo punto di vista, quindi, i capolavori dell’orafo tedesco Dinglinger, da me recentemente visitati a Dresda, non appariranno come curiose creazioni artigianali, ma, differentemente da quanto sostengono molti storici dell’arte e di conseguenza molti appassionati, come opere d’arte di grande spessore, uniche nel loro genere e dai contenuti talora innovativi e in anticipo sui gusti di un’epoca, che meriterebbero, insieme a molti altri capolavori, di figurare a pieno titolo nei libri di storia dell’arte.
Luca Sperandio
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