«Le parole tue sien conte»
(Dante, Inferno, canto X, verso 39)
La mente sembra sempre di più una centralina in perenne attività. Incapace di rallentare se stessa, a lungo andare questo suo movimento frenetico può affaticare e confondere. «La mente non è un vaso da riempire, ma come legna da ardere ha solo bisogno di una scintilla che l’accenda […]»1. L’ascolto, in questo Luna Park di messaggi, dove si colloca? Chi gioca a palla, dice Plutarco, impara contemporaneamente a prenderla e lanciarla. Ma per quel che riguarda la parola, bisogna prima imparare ad accoglierla per poterla poi pronunciare. In un dibattito, allora, deve esserci sincronia tra chi la riceve e chi la lancia: e questo avviene solo «quando ciascuno dei due [oratore e ascoltatore] sia rispettoso di ciò che gli compete»2. Perdere la capacità di ascoltare, d’altra parte, non significa forse aver smarrito la dimensione del silenzio?
Chi ascolta sa trarre profitto da chi parla, sia che abbia successo, sia che fallisca. «Dobbiamo giudicare prima noi che colui che parla, chiedendoci se anche a noi non possa accadere di incappare inconsapevolmente in qualche errore. È facilissimo, infatti, biasimare gli altri, ma è cosa sterile e vuota se quella critica non la volgiamo anche verso noi stessi»3.
Destinato a Nicandro, un giovane pronto a indossare la toga virile, L’arte di ascoltare rientra nel corpus filosofico dei Moralia. Plutarco qui si rivolge ai giovani con l’intento di farli riflettere sulla consapevolezza che la conoscenza del mondo e di se stessi passa dalla disposizione ad assumere i modi giusti per mettere gli altri in condizione di esprimersi.
Arroganza, presunzione, protagonismo e invidia sono invece i difetti da cui bisogna guardarsi quando si ha a che fare con l’ascolto. Buona pratica, suggerisce l’autore, è infatti evitare di agitarsi ad ogni battuta, aspettando pazientemente che l’interlocutore termini di esporre il suo pensiero. Anche se non lo si condivide, infatti, è bene dargli modo di integrare, chiarire o correggere quanto ha detto. «Chi infatti passa subito al contrattacco […] interrompe e spezza il logico fluire del discorso, […] e finisce per non ascoltare e non essere ascoltato»4.
Poi l’invidia, pertugio verso l’avversione a chi ci sta di fronte, «spinge l’invidioso a controllare le reazioni degli ascoltatori, e se li vede assentire, compiaciuti e ammirati, s’indispettisce e si arrabbia […]. Così, a furia di disprezzare e gettare fango, il dibattito risulta inutile e insensato»5.
L’ascolto è legato al parlare. Ma ascoltare non significa solo attivare le orecchie a quel che ci viene detto. Ascoltare non significa neppure sentire. Si sente attraverso gli organi di senso mentre è nell’ascolto che si attiva un movimento partecipato verso l’interlocutore. Leopardi, dal canto suo, affermava: «Un abito silenzioso nella conversazione, allora piace ed è lodato, quando si conosce che la persona che tace ha quanto si richiede e ardimento e attitudine a parlare»6.
Ascoltare significa cercare di cogliere ben al di sotto del giardino delle parole il mondo di chi le coltiva. Ascoltare è saper leggere nel suo codice di significati. E farlo significa cogliere il senso dei suoi discorsi, dei suoi errori e dei suoi difetti. Che poi sono anche i nostri. Perché in ciascuno, diverso dagli altri in quanto frammento finito di un tutto infinito, c’è l’intero esistere. Perché, come affermava Goethe, se parlare è un bisogno, ascoltare è un’arte.
«Come negli occhi di chi ci sta davanti possiamo vedere riflessi i nostri, così dev’essere con le parole: i discorsi degli altri siano i nostri stessi discorsi. Se teniamo presente questo eviteremo di giudicarli e, quando sarà arrivato il nostro turno, staremo più attenti nel parlare»7. Perché non avremo sprecato un’opportunità. Perché avremo fatto nostri frammenti di umiltà e pagine di galateo. Perché avremo capito che, solo allora, stavamo finalmente ascoltando.
Riccardo Liguori
NOTE
1. Plutarco, L’arte di ascoltare, Newton Compton Editori, Roma, 2014, p. 125.
2. Ivi, p. 109.
3. Ivi, p. 81.
4. Ibidem.
5. Ivi, p. 89.
6. G. Leopardi, Poesie e prose, Hoepli, Milano, 1953, p. 584 CXI.
7. Plutarco, op. cit., p. 81.
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