Avete presente quei mobili in legno pregiato che ci sono a casa dei nonni, inspiegabilmente nuovi dopo sessant’anni? Forse vi sarà capitato di doverli risistemare o ricollocare, indecisi tra il restauro e l’eliminazione, perché probabilmente ormai li trovate esteticamente brutti, ma sono ancora integri e sono costati una fortuna, quindi buttarli sarebbe proprio un peccato. Ecco, sono il tipo di mobili che noi non compreremo mai: troppo grandi, troppo costosi, troppo difficili da spostare. Si adattano bene ad una vita fatta di certezze. Sono i mobili che i nostri nonni o i nostri genitori hanno comprato quando hanno messo su casa, col pensiero di cambiarli dopo decenni e cercando il più possibile di preservarli dagli effetti negativi del tempo: centrini o tovaglie sui tavoli per evitare i graffi, copridivani e cuscini per proteggere i tessuti. Mobili a lungo termine, adatti ad una vita che poggia su solide basi: il lavoro, il matrimonio, la casa. Tutto a lungo termine. E infatti quei mobili hanno resistito, sono ancora lì. E noi li troviamo ingombranti, ne apprezziamo il valore, ma non rispecchiano i nostri gusti, come quel tipo di vita stabile e resistente quanto i mobili in legno massello, che ci sembra bella ma non ci appartiene, e forse ci spaventerebbe, se avessimo la possibilità di viverla.
In quel mondo, infatti, un giovane apprendista che entrava in fabbrica prima dei vent’anni era sicuro di non cambiare lavoro fino alla pensione, così come un’assunzione pubblica dava in giovane età la certezza del “posto fisso”: con questi punti fermi i nostri genitori e i nostri nonni ponevano le basi per una vita solida, come i mobili con cui hanno arredato casa. Oggi invece queste strade dritte, già tracciate, si sono inesorabilmente diramate in tante vie, alcune più impervie di altre, ed il lavoro non dà più certezze.
Il matrimonio indissolubile tra capitale e lavoro che aveva caratterizzato l’era industriale, si è inesorabilmente trasformato in una convivenza libera e disimpegnata: l’economia reale perde terreno e il capitale nell’era che Zygmunt Bauman definirebbe “liquida” si sente libero di andare ovunque, spostandosi con un bagaglio leggero composto da smartphone e ventiquattrore1.
Con i nostri rapporti lavorativi flessibili, a tempo determinato, a progetto, non siamo sicuri di rimanere a lungo nella stessa città o di poter comprare una casa, quindi necessitiamo di mobili facili da smontare, che possano all’occorrenza essere trasportati altrove, magari bianchi, così da adattarsi anche in una nuova casa, diversa, magari condivisa con qualcun altro.
Infatti, anche sulle relazioni il lungo termine sembra fuori luogo, a volte spaventoso. Spesso le nostre vite si incrociano per brevi periodi, senza il vincolo del “per sempre”. Piuttosto, “finché noia non ci separi” o lo facciano altre eventualità, persone, casualità della vita2. Vittime, anche noi, di una sorta di obsolescenza programmata, che ci spinge a disfarci delle cose e delle persone usate per poter ancora comprare e consumare novità; con un ventaglio così ampio di possibilità da dare continuamente l’impressione che possa esserci qualcosa di meglio dietro l’angolo, e che quindi sia necessario vagliare tutte le opzioni per essere sicuri di compiere la scelta giusta.
La maggior parte di noi ha vissuto in città diverse, in case diverse, con persone diverse, ed è per questo più ricca, ha un bagaglio di conoscenze maggiore e forse una mentalità più aperta; questo però porta sul lungo periodo ad una minore sicurezza, ad un futuro incerto e non pianificabile. La filosofia ha spesso contrapposto la sicurezza alla libertà e, a partire dal contratto sociale ipotizzato da Hobbes e Locke, le ha descritte come inversamente proporzionali; e noi viviamo in un tempo in cui siamo senz’altro liberi di scegliere, ma non sempre sicuri di poter costruire.
Per questo i mobili dei nonni per noi non vanno bene, ma è meglio qualcosa che si possa facilmente montare e rimontare a seconda delle necessità e che, quando i troppi cambiamenti lo rendono superfluo o inutilizzabile, si possa buttare senza troppi rimpianti, perché non vale la pena aggiustare qualcosa di scarso valore. E così forse qualche mobile ereditato dai nonni l’abbiamo tenuto, come ricordo di un passato affidabile, ma poi siamo andati da Ikea per completare l’arredamento, perché meglio si adatta ad una vita che si possa disfare all’occorrenza.
NOTE
1. Cfr. Z. Bauman, La Società Individualizzata, 2001, Il Multino, Bologna, p. 34.
2. Cfr. Z. Bauman, Amore Liquido, Editori Laterza, 2003, pp. 20-24.
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