In occasione della XX edizione del Festivaletteratura, lo scorso settembre abbiamo incontrato l’architetto e urbanista Stefano Boeri, che quel giorno presentava il suo libro Un bosco verticale. Libretto d’istruzioni per il prototipo di una città foresta (Corraini, 2015).
Quello del “Bosco verticale”, due torri residenziali nel quartiere Isola a Milano, è un progetto molto apprezzato che ha consolidato il suo riconoscimento come architetto a livello internazionale. Il suo lavoro presso lo studio Stefano Boeri Architetti (che tra le altre cose ha collaborato alla delineazione del masterplan di Expo 2015) viene affiancato dal suo incarico di professore ordinario di Progettazione Urbanistica al Politecnico di Milano, nonché di visiting professor in alcune università di tutto il mondo; dal 2004 al 2007 è stato alla direzione di Domus e dal 2007 al 2010 di Abitare, entrambe riviste d’architettura note a livello internazionale; ad oggi collabora ancora con alcune riviste (non solo d’architettura) tra le quali Wired.
Con lui abbiamo cercato di capire come l’architettura possa dialogare con la dimensione naturale dell’ambiente e anche di come possa intervenire all’interno della crisi ambientale in corso; si tratta di una disciplina molto affascinante e nonostante la sua applicazione sia puramente tecnica, essa scaturisce da profonde riflessioni sull’uomo, la sua natura e i suoi bisogni.
Nel 2014 ha vinto l’International Highrise Award per il suo Bosco Verticale, scelto dalla giuria secondo “parametri” legati alla sostenibilità, alla qualità estetica esteriore ma anche di vivibilità dello spazio; ai non addetti ai lavori tuttavia balza evidentemente agli occhi il lato “verde” del progetto. Nel mondo di oggi, come può e deve rientrare in architettura il tema della natura e dell’ambiente?
Entra in tanti modi: entra come fenomeno di ricolonizzazione da parte della natura di parti di città o di territorio antropico abbandonati, entra come questione nel rapporto con le superfici verdi, cioè il fatto che oggi le nostre sono città minerali con pochi spazi lasciati al mondo vegetale, e noi dovremmo invece – in prospettiva anche di contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico – sia moltiplicare gli spazi vivi e verdi tradizionali (parchi, giardini, viali, boschi…), sia (come nel caso del Bosco Verticale) sperimentare forme nuove di presenza del verde in città. Poi c’è anche il tema della biodiversità, che è un altro tema fondamentale: aumentare superficie verde è anche un metodo per aumentare la biodiversità, non solo della flora ma anche della fauna.
In un’intervista del 2007 Zaha Hadid espresse la sua sensazione che le persone in Italia fossero spaventate dal cambiamento e che dunque tendessero ad evitarlo. Il suo Bosco Verticale s’inserisce nella cornice di una Milano in continua crescita in cui i nuovi progetti d’architettura fanno da specchio a questa tendenza, cercando forse di recuperare una sorta di iato venutosi a creare con altre grandi metropoli europee. Lei cosa ne pensa? Aveva ragione Hadid, o in Italia siamo capaci di equilibrare l’innovazione e il contemporaneo con la tradizione?
Aveva ragione Hadid, nel senso che l’Italia per molti anni ha avuto paura di affrontare il contemporaneo nell’architettura, e questo per diverse ragioni: per esempio perché abbiamo avuto una stagione straordinaria negli anni Cinquanta e Sessanta di trasformazioni che invece sono state molto coraggiose e in cui domina il contemporaneo; inoltre perché la presenza della storia, con quella grande stagione fertile verso il recupero, hanno messo in secondo piano la necessità del contemporaneo. Negli ultimi anni invece le cose sono un po’ cambiate e devo dire che è vero (anche se a volte non sempre in modo, come dire, felice), il contemporaneo ha ripreso possesso di alcune immagini delle nostre città: quindi sì, adesso sappiamo equilibrare la tradizione con il contemporaneo.
Il suo progetto di riqualificazione del porto de La Maddalena per il G8 del 2009 è probabilmente l’esempio lampante di come un buon progetto d’architettura sia in realtà soggetto a molteplici e a volte incontrollabili forze esterne. Ha qualche speranza di un esito positivo?
Mah non lo so, sono abbastanza disperato. Sono ovviamente sempre attivo su quella faccenda e sono informato su quello che sta succedendo: ci sono delle promesse, ci sono delle risorse… E’ un problema sostanzialmente di accordo tra la concessionaria Marcegallia, la Regione Sardegna e la Protezione Civile; il problema è che o la Presidenza del Consiglio riesce a risolvere o sennò nonostante le risorse, nonostante le buone intenzioni, non si farà nulla. E ogni mese che passa si perdono anni di qualità di architettura, di materiali, quindi… Quindi sono disperato, è proprio una brutta storia.
L’uomo è sempre stato particolarmente curioso del futuro, anche della quotidianità del futuro, e soprattutto attraverso il cinema ha provato anche a rappresentarlo – pensiamo a Star Trek, piuttosto che Blade Runner. Lei come pensa appariranno la metropoli e la cittadina del ventiduesimo secolo?
Io penso che il modo migliore per pensare al prossimo secolo sia di pensare al secolo scorso, cioè proiettare nel futuro la distanza temporale verso un passato che conosciamo: questo per capire l’accelerazione, le tendenze… La città del prossimo secolo sarà una città probabilmente per certi aspetti totalmente altra, e per una ragione, cioè che c’è una questione ambientale che se non viene gestita – come ora non viene gestita – nei prossimi anni in modo sempre più radicale si rischia di creare una situazione drasticamente nuova, per cui molte città saranno sommerse dall’innalzamento del livello degli oceani, molti spazi e molte città verranno abbandonati per la desertificazione… ci sarà forse l’opportunità e la necessità di immaginare una migrazione su altri pianeti, ci sarà… ci saranno problemi enormi. Io per esempio sto lavorando su un’idea di Shanghai 2116, perché insegno alla Tongji University di Shanghai e lì abbiamo messo in campo anche l’idea di costruire una nuova Shanghai su un altro pianeta.
Quali significati assumono l’etica e l’estetica applicate all’architettura?
Beh evidentemente sono intrecciate ed evidentemente, come dire, si parlano, nonostante siano anche due dimensioni molto diverse. L’estetica comunque non è mai una categoria generalizzabile, ha degli interlocutori e dei destinatari, una cosa bella non è bella in assoluto ma bella rispetto ad alcune aspettative, bisogni ed alcuni immaginari… anche solo pensando a questo si scorge il dialogo tra le due.
Etica ed estetica sono in effetti branche della filosofia: sentire questi termini legati ad una disciplina apparentemente esclusivamente tecnica come l’architettura avvalora la nostra concezione di filosofia. Che cos’è per lei la filosofia?
E’ un’interrogazione sul senso della vita.
Non è così scontato. Ritengo che molte delle conflittualità, degli orrori e degli errori del nostro tempo siano dovuti proprio alla banalizzazione del senso della vita, che non viene più indagato veramente, perché si pensa la vita come una batteria che si consuma e non come un dono. Anche l’architettura (come tutte le nostre altre discipline) interroga e fa interrogare noi stessi su questo: per esempio, perché un terremoto fa crollare così facilmente un edificio, e che valore hanno dato alla vita le persone che l’hanno costruito? Ne hanno dato abbastanza? Ma non solo. Pensiamo al ponte più moderno di Venezia e a tutte quelle pecche che lo rendono così problematico da attraversare: chi l’ha progettato si è veramente immedesimato nelle persone che quotidianamente viaggiano da una riva all’altra? Ai loro bagagli, ai loro passi, alle loro esigenze nel farlo? Oppure ancora: che cosa rappresentano opere come il Pantheon di Roma, la Grande Muraglia, l’Empire State Building? Di quali vite, di quali sogni raccontano? In effetti potremmo non smettere mai di farci domande sulla vita soltanto guardando un’architettura.
Ecco dunque che non è così scontato riflettere sul senso della vita. Come risolvere molte problematiche del nostro mondo? Semplicemente continuando a pensare.
Giorgia Favero
[Immagini di proprietà di Stefano Boeri Architetti]