Quando la natura e l’arte si incontrano e quest’ultima non è più concepita come qualcosa da guardare “a distanza”, ma da vivere “in presenza”, nella quale immergersi con il proprio corpo e come qualcosa da fruire con tutti i sensi, ecco che si schiude una dimensione che trascende la quotidianità e ci porta verso l’assoluto.
Si era fatto conoscere dalla stragrande maggioranza degli italiani con la celebre The Floating Piers del 2016, una passerella di 4,5 chilometri sul Lago d’Iseo, ma in realtà Christo Vladimirov Javacheff, più noto solamente con Christo, era, insieme alla moglie Jeanne-Claude con la quale condivise tutti i suoi progetti artistici e di vita, il maggior esponente della Land art. Ci ha lasciato il 31 maggio, nella sua casa a Soho, New York, a 84 anni.
L’opera di Christo e Jeanne-Claude è un’arte del paesaggio che, assecondando le forme naturali o urbane, vede nell’impacchettamento e nella copertura con dei tessuti sintetici, la propria privilegiata e ideale forma di espressione. Tuttavia ogni imballaggio esprime un suo significato specifico: se The Floating Piers significa l’impossibile che diventa possibile, il visitatore che diventa protagonista di quest’opera d’arte vivente camminando sulle acque e assecondando i movimenti delle onde, Porta Pinciana a Roma vuole evidenziare maggiormente il valore storico, mentre Wrapped Coast a Little Bay in Australia sottolinea soprattutto l’aspetto di protezione della natura. Gli esempi possono essere innumerevoli; ciò che hanno in comune tutte queste installazioni è l’aspetto temporaneo: vivono per qualche settimana al massimo e poi vengono smontate, nonostante la complessità progettuale e i tempi lunghissimi di preparazione. Nel periodo della sua durata, l’opera propone una percezione nuova della realtà: essa “svela nascondendo”, vuole provocare l’immaginario della società odierna, assuefatto dalle abitudini, costringendoci a recuperare l’identità di un luogo o di un oggetto attraverso un nuovo rapporto con lo spazio. Questa nuova relazione che si instaura tra l’oggetto artistico e lo spettatore che si ritrova immerso in un contesto che si discosta da ciò che quotidianamente era abituato a vedere, stimola diverse domande riguardo, per esempio, cosa c’era sotto prima dell’intervento dell’artista, oppure quali sono gli effetti del nostro intervento su un paesaggio incontaminato.
Il gesto dell’impacchettare può essere dunque interpretato come semplice e ironico al tempo stesso: la temporaneità delle opere che simboleggia la caducità della vita, la quale è un tutto che scorre e fluisce continuamente, vuole provocare in noi una riflessione sul nostro rapporto con la natura e sulla relazione tra quest’ultima e l’arte. In che modo l’uomo può elevare spiritualmente qualcosa senza danneggiare quello che c’è attorno, percorrendo forse in punta di piedi quella passerella creata ad arte proprio per indurci a riflettere sul valore simbolico di essa? La questione riguardante la volontà di non danneggiare la natura cercando di avere il minor impatto ambientale possibile si lega spontaneamente alla riflessione riguardo al nostro agire: tutto ciò che facciamo è accompagnato da questo atteggiamento di cura, di rispetto o spesso non valutiamo le conseguenze del nostro intervento?
Le opere di Christo hanno la capacità di farci indugiare su aspetti della natura o della cultura cui prima non avevamo dato valore, che davamo per scontati, sui quali non ci soffermavamo, presi come siamo dai ritmi rapidissimi della società contemporanea. Esse offrono inoltre uno spunto per riflettere sulla funzione dell’arte: può davvero la bellezza, per citare Dostoevskij, salvare il mondo e innalzarci verso una dimensione assoluta, più profonda rispetto alla svalutazione di senso cui assistiamo nella vita quotidiana?
Quei luoghi di cui forse prima non ne sapevamo l’esistenza, oppure che conoscevamo benissimo ma davamo per scontati e non attiravano la nostra attenzione, hanno acquisito un senso nuovo dopo l’azione dell’artista che ha reso eterno, sacro, straordinario, qualcosa di caduco, profano e ordinario. Forse è proprio questa la bellezza dell’arte: riuscire a mostrare la dimensione divina che c’è dentro ad ogni cosa, fissando in un attimo, nell’eterno qui ed ora fuori dal tempo e dallo spazio ordinario, lo scorrere dell’esistenza.
La peculiarità e la grandezza del progetto di Christo e Jeanne-Claude sta nel fatto che l’opera d’arte è nell’esserci, nell’emozione di essere nelle cose, in uno stato di coinvolgimento pieno con lo spazio e l’alterità, nel quale si annulla la distanza tra soggetto, oggetto e medium. Essa ha la capacità di unire e andare oltre la dimensione dell’ego per parlare alla dimensione intersoggettiva del “Noi”, sperimentata con il proprio corpo e con tutti i sensi, non solo la vista.
La passerella sul lago d’Iseo non c’è più, così come non ci sono le altre opere di Land art, destinate per la loro stessa essenza all’impermanenza. Eppure l’eternità dell’emozione che ha coinvolto un milione e mezzo di spettatori-attori immersi in quell’esperienza resta fissa e immobile, testimoniando la capacità dell’arte di dare forma e rendere visibili le nostre emozioni conferendo loro un’impronta di eternità.
Emilia Agosti
Emilia Agosti, dopo la laurea triennale in Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano, consegue cum laude, nel medesimo Ateneo, il titolo magistrale in Scienze Filosofiche, presentando una tesi in ambito estetico. È docente, artista e scrittrice per alcune riviste on-line. Ad oggi, oltre alla grande passione per l’arte in tutte le sue forme e l’estetica, continua ad approfondire i propri studi filosofici anche nell’ambito antropologico, sociologico, etico e teoretico.
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