Il grande viaggiatore ed esploratore norvegese Erling Kagge, già autore di alcuni libri come Filosofia per esploratori polari, nella sua ultima pubblicazione si è voluto esercitare su un tema a lui molto caro, quello del silenzio (Il silenzio. Uno spazio dell’anima, Einaudi, Torino 2017). Un argomento, quest’ultimo, che, a parere di Kagge, non è sufficientemente frequentato dai filosofi di professione: «molti filosofi mi hanno detto […] che il silenzio non è nulla e quindi non è interessante. È un po’ un peccato», scrive egli con rammarico. Al contrario della maggior parte dei “pensatori di professione”, Kagge è infatti convinto, proprio come «i monaci sulle montagne, gli eremiti, i navigatori, i pastori e gli esploratori», che
è proprio nel silenzio che è possibile trovare «la risposta ai misteri dell’esistenza».
D’altronde, nota Kagge, «Gesù e Buddha si ritirarono in solitudine per capire in che modo avrebbero dovuto vivere. Gesù nel deserto, Buddha sulla montagna e vicino al fiume. Gesù rese conto a Dio nel silenzio. Il fiume insegnò a Buddha a sentire, ad ascoltare con cuore tranquillo, come una mente aperta e in attesa». Quali prove più eclatanti si possono desiderare del fatto che solo «quando siamo lasciati in balia del silenzio, la mente e i pensieri conquistano nuove vette»?
Il suo libro, che raccoglie e rielabora appunti, ricordi e materiali scritti in diverse occasioni, nasce da una conferenza tenuta presso l’università di Saint Andrews in Scozia. Ma non si tratta di un testo “accademico” e sterilmente concettuale, perché le meditazioni sul silenzio in esso contenute nascono da suggestivi aneddoti di viaggio (Kagge è stato il primo uomo a esplorare i cosiddetti “tre poli della Terra”: l’Artide, Antartide e l’Everest) e si legano a episodi di vita familiare o lavorativa. Anche alla filosofia viene in qualche modo dato quel che le spetta, perché Kagge, nel corso del suo studio, non dimentica di citare e di confrontarsi – anche se in modo estremamente sintetico – con autori quali Parmenide, Platone, Aristotele, Pascal, Heidegger e Wittgenstein.
Secondo Kagge, il silenzio, lungi dall’essere privo di significato, può essere molto espressivo. Per Kagge il silenzio è anzi «denso di significati tanto quanto le parole», ed esso «ha per l’appunto un compito, deve parlare. Deve dirci delle cose, e noi dobbiamo parlare con lui e sfruttare il suo potenziale inespresso». Dimostrare questa tesi non è poi così difficile come potrebbe sembrare. Le opere d’arte (dipinti, statue, bassorilievi), per esempio, non emettono suoni, eppure non si può dire che siano del tutto prive di parola; nonostante il loro apparente mutismo, esse sono infatti pur sempre in grado di “parlarci”, di “dirci qualcosa”. «L’urlo più forte che io abbia mai udito», osserva Kagge, «non ha suono; è L’urlo di Edvard Munch».
Anche la natura può parlare attraverso il silenzio. «L’Antartide», racconta Kagge, «è il luogo più silenzioso in cui sia mai stato. […] Da solo sul ghiaccio, circondato da un grande nulla bianco, riuscivo a sentire e a percepire il silenzio. […] A casa c’è sempre un’automobile che passa, un telefono che squilla […] o che vibra, qualcuno che chiacchiera, sussurra o grida. Alla fine i rumori sono così tanti che li sentiamo a malapena. In Antartide era totalmente diverso. La natura mi parlava nel silenzio. Più era totale, e più distinguevo i rumori». «Poiché non avevo nessuno con cui parlare» – continua Kagge – «stabilii un dialogo con la natura».
Ma pensiamo anche ai momenti più belli che si vivono in una storia d’amore: non sono forse i momenti di tenerezza, quelli in cui ci si guarda negli occhi in modo complice, senza parlare, o ci si scambiano abbracci, baci e carezze senza proferir verbo? «A me piace parlare e ascoltare», scrive Kagge, «ma ho sperimentato che la vera intimità si crea solo dopo che si è rimasti zitti per un po’. […] Quando tutto ciò di cui ho bisogno è tra le mie braccia, le parole sono superflue».
In generale, resta fermo, per Kagge, che il silenzio è «un amico», una «forza che arricchisce». Ma come fare per trovare il silenzio e la pace durante le nostre giornate così movimentate? Per quanto esistano in tutto il mondo “sale del silenzio” insonorizzate o «centri costruiti appositamente per offrire ai visitatori l’esperienza del silenzio», il silenzio che il nostro autore ha in mente non è un silenzio “mercificato”, acquistabile come qualsiasi altro prodotto, o un’esperienza elitaria, e nemmeno è il «silenzio assoluto», l’assoluta assenza di suoni, che è una chimera, «più un sogno che una realtà». Il silenzio “rigenerante” e “rassicurante” di cui parla Kagge è un silenzio che «troviamo dove siamo, quando ci fa comodo, nella nostra testa, e non costa niente».
Kagge lo trova ad esempio «nella natura, oppure anche in ufficio quando mi fermo appena prima di firmare un accordo, o quando smetto di seguire una conversazione e mi perdo nei miei pensieri». Se ci si fa caso, sono tutte situazioni in cui «il mondo viene chiuso fuori per un istante e il silenzio e la calma interiore prendono il sopravvento». Ecco perché per sperimentare un silenzio “di qualità” non serve viaggiare fino in capo al mondo, o recarsi in qualche lussuoso resort o apprendere particolari tecniche meditative. «In realtà», commenta Kagge, «credo che se uno si impegna strenuamente, possa sperimentare il silenzio anche su una pista di decollo all’aeroporto». Il grande viaggiatore conclude infatti con questa piccola confessione il proprio giro di riflessioni: «io ho dovuto camminare per moltissimi chilometri, ma so che è possibile trovare il silenzio ovunque. Si tratta di procedere per sottrazione. Ognuno può trovare il suo polo Sud».
Gianluca Venturini
NOTE
E. Kagge, Il silenzio. Uno spazio dell’anima, trad. di M.T. Cattaneo, Einaudi, Torino 2017 (1a ed. orig. 2016)
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