Quando la pigrizia ci abbandona e finalmente si decide di mettere ordine in casa, ci accorgiamo cassetto dopo cassetto di aver cresciuto, a nostra insaputa, un mostro fatto di carta e polvere. A meno che non si scelga di adottarlo e di dargli un nome, quasi sempre il nostro caro amico finisce per essere gettato nella campana − color giallo mi raccomando − dei rifiuti. Tra l’insensibilità generale.
E se vi dicessi che compiendo quest’azione lasciamo cadere nell’oblio parte della nostra memoria?
Del resto se avessimo un po’ di pazienza e compassione in più, scorgeremmo in quella creatura non solo delle scartoffie bollate come “inutili”, ma anche delle testimonianze in grado di ricostruire parte della nostra vita. Infatti, tra gli storici professionisti è risaputo che gran parte dei «testi in cui l’autore scrive delle proprie azioni, pensieri e sentimenti»1 siano da considerarsi a tutti gli effetti delle fonti storiche, degli ego–documenti. Un termine quest’ultimo coniato da Jacques Presser, uno storico olandese che sul finire degli anni ’50 non sapeva come classificare quelle scritture personali come i diari, le autobiografie, le lettere e i giornali di viaggio. Inoltre questa categoria solo recentemente è stata allargata ad altre tipologie di documenti quali i curriculum vitae, le testimonianze orali girate in vecchie VHS o registrate nelle audiocassette, gli scontrini utili a sottolineare la nostra dipendenza dalla cioccolata o ancora le agende sature dei nostri impegni lavorativi. Tutte scritture dell’Io che hanno consentito l’ingresso nella Storia non solo ad autori appartenenti alle classi sociali subalterne, ma anche a una enorme quantità di temi che hanno dato vita a filoni di ricerca estremamente innovativi. La storia dei sogni ad esempio: cosa si sognava negli anni ’30 del ‘900? Un diario personale sarebbe in grado di fornirci la risposta. O ancora la storia culturale: quando gli italiani cominciarono a mangiare la pasta al pomodoro? I minuziosi ricettari delle nonne potrebbero darci qualche indicazione.
Gli ego–documenti si sono rilevati fondamentali, quindi, per aprire nuovi spazi di ricerca facilitando in questo modo le interconnessioni fra le varie discipline scientifiche. Non solo. Le fonti del sé hanno ricoperto un ruolo fondamentale per l’approfondimento di quegli aspetti delle scienze storiche considerati, molto spesso erroneamente, centrali come la politica, l’economia e la guerra. Per quest’ultimo macro-argomento ad esempio, le testimonianze orali si sono dimostrate estremamente efficaci per evidenziare quel processo di indottrinamento e de–responsabilizzazione che ha investito molti americani una volta arruolatisi nei marines. In che modo? Studiando l’uso dei pronomi personali soggetto (l’Io, il Noi e il Loro) e la loro disposizione nel tempo e nello spazio2.
Come, spero, avrete inteso leggendo questo articolo, le scartoffie e più in generale ciò che produciamo hanno ancora oggi un loro valore. Non si può conservare ogni cosa, ma almeno si dovrebbe riflettere sulla relazione che intercorre tra noi e la parte di noi dalla quale abbiamo deciso di separarci.
Marco Donadon
NOTE:
1 – Caffiero M., Testi e contesti. Le scritture femminili private a Roma nel Settecento: i diari tra soggettività individuali e appartenenze socio-culturali, 2010, www.giornaledistoria.net, consultato il 10 marzo 2017.
2 – Portelli A., “Come se fosse una storia. Narrazioni personali dei reduci e storia orale del Vietnam”, in Storie Orali. Racconto, immaginazione, dialogo, Donzelli Editore, Roma 2007, pp. 349 – 372.
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