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Ciò che va oltre il vegetarianesimo

La questione del vegetarianismo va ben oltre il campo che tratta.

Ha a che fare con la salute del nostro pianeta, con la conservazione della biodiversità e della pulizia ambientale, riguarda direttamente il futuro sociale e culturale della nostra specie. Di per sé, ritengo che non sia sbagliato mangiare carne: oltre ai numerosi vantaggi nutritivi, vi è anche una solida tradizione a sostenerne il consumo, che si avvale della naturalità dell’atto e della convivialità che genera una tavolata imbandita a tema. Sono argomenti validi, che dimostrano la ragionevolezza dell’opposizione, ma in questa ragionevolezza si nasconde un’omissione. La produzione attuale della nostra carne – quella consumata oggi dall’individuo medio – ha volgarizzato tutta la parte “ritualistica” del consumo della stessa. Non si considerano i legami di rispetto che possono aver coinvolto il cacciatore e la sua preda; non ci si appaga col frutto del proprio peregrinare tra i boschi; non si attua un gesto di condivisione autenticamente profondo; né in realtà si assorbe un nutrimento sano, poiché quella carne è stata imbottita di farmaci e ricavata da un animale probabilmente malato e incredibilmente sofferente. La scelta di mangiare o meno la carne va a sollecitare direttamente la storia umana nella sua quotidianità.

Di solito sono queste le argomentazioni sostenute da un vegetariano di tipo etico, quando vuole giustificare la sua scelta. Sostiene di farlo per buon senso, per integrità, per rispetto, per ambientalismo. In più vi sono numerose considerazioni a favore di queste linee alimentari che trascendono la mera questione etica: l’industria alimentare è tra le più inquinanti al mondo e l’allevamento intensivo è causa di gravi sconquassi idrici e ambientali, di un ingente spreco di risorse e di un notevole disagio psicologico indotto negli operai del settore, i quali lavorano in situazioni tanto barbare e precarie da rischiare spessissimo la loro vita. Tutti questi aspetti sembrano sufficienti a boicottare l’industria alimentare, e infatti è a questo punto che l’argomentazione di un vegetariano si ferma. Ma così ha solo circoscritto il campo in cui la sua parola prende vita, scambiandolo per giustificazione.

Un’argomentazione del genere si fonda soltanto su motivazioni ragionate e ponderate, quindi su opinioni, che, per quanto profonde, non fanno altro che mostrarsi. Quando si discute per opinioni, si arriva a un punto in cui le due opinioni agoniste chiarificano al meglio la loro divergenza e così la cementificano. Lo stesso accade quando si fa leva sui sentimenti legati all’etica e all’emozionalità: se qualcuno non li avverte, o li avverte in altri momenti, la questione (quasi) finisce là. Un fiume divide due persone e nessuno costruisce un ponte. In secondo luogo, il vegetariano etico non si accorge che le sue posizioni sono valide in numerosi altri settori che probabilmente non ha considerato: l’industria tessile, l’industria telefonica, quella informatica, addirittura quella agricola. Se trova sbagliato consumare carne per via del maltrattamento che subiscono gli animali, e per questo non la mangia, dovrebbe anche rinunciare ad acquistare vestiti di marca, cellulari e computer, visto che la maggior parte di questi prodotti sono costruiti da operai sottopagati e sfruttati, e dovrebbe anche vagliare attentamente le verdure che acquista, poiché molte di queste sono insanguinate forse più della carne.

L’alternativa sarebbe ammettere di considerare più la vita animale di quella umana e di chiudere un occhio sulle questioni ambientali che solleva l’agricoltura intensiva: e questo atteggiamento, lungi dall’essere semplicemente stupido, è eminentemente ipocrita.

Il nostro vegetariano non ha particolari colpe. La sua posizione è ammirabile sotto alcuni aspetti, ma non si può negare che sia embrionale. Non è ancora niente, non risolverà nulla, e non è nemmeno la soluzione. È un inizio, volendo, un segnale, un’intuizione, una scelta, ma che poi deve essere coltivata e accresciuta, demolita e ricostruita come la ragione, altrimenti si ridurrà a un’ammonizione poco convincente dispersa nei venti del mondo. La questione vegetariana non è solo una questione vegetariana: solleva problemi che interessano sostanzialmente l’intero pianeta, l’intera idea di globo e globalità che noi moderni abbiamo contribuito a sviluppare. Non è la carne il problema: ma l’eccessivo e smodato consumo dei paesi egemoni, l’assenza di scrupoli delle grandi industrie produttrici, il divario alimentare che interessa le due metà del mondo. Non è neanche la tecnologia il problema: ma la produzione campionata e ripetitiva, l’accumulo di immondizia, l’alienazione del lavoratore. Problemi molto simili a quelli che riguardano l’industria alimentare; problemi che chiarificano le contraddizioni laceranti della nostra civiltà.

La questione allora concerne quel che noi siamo disposti ad accettare per avere questa quotidianità. Dico “questa” perché potremmo averne un’altra, ma per strutturarla occorre un interesse e un impegno indiscriminati, disposto a rivedere tutto quel che è stato piantato nell’ambiente e nel suo habitus, consapevole della posta a un livello più o meno uniforme ma comunque particolareggiato. Difficilmente però una sola idea potrà accomunare l’umanità, così come nessuna legge potrà contrastarne i crimini. La coralità del mondo – purtroppo o per fortuna – esige ascolto. Ogni problema è interdisciplinare, e nessuna soluzione può essere definitiva. Le cose cambiano in base alla prospettiva, al momento, allo sguardo che le considera, e la soluzione deve tener conto della sua arbitrarietà se vuole contenere al meglio quel che considera un problema. Prendere posizione ha un suo valore, ma all’interno dei suoi limiti, gli stessi che si pone. Quel vegetariano avrà dei nobili principi, ma non può credere di essere salvo. Può invece scegliere di agire (il come lo sa solo lui), oppure può continuare con la sua dieta, sapendo che prima o poi, almeno a un animale, risparmierà una vita di soprusi e torture. Non è niente, ma, appunto, è un segnale, e in quanto tale credo debba continuare a lampeggiare.

 

Leonardo Albano

 

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