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Comunque andare

Ero vicino a te. Sì, proprio vicino a te, seduta su quella poltroncina azzurra con  lo schienale e i braccioli consumati dal tempo. Stanza 23. Armadietto 04. Proprio come il giorno della mia nascita.
Sapevo che non ti saresti dimenticato quei numeri.
Il 23 aprile di molti anni prima mi tenevi tra le tue braccia, e il tuo cuore batteva con il mio. Ce l’hai scritta nella tua agendina di pelle nera quella data; quell’agendina che tieni custodita nel cassetto del comodino al lato sinistro del letto e che ripesco, per caso, 25 anni dopo.

Ero vicino a te. Reparto di cardiochirurgia dell’ospedale Ca’ Foncello di Treviso.
Ormai lo conoscevo a memoria, sai? Malgrado il mio pessimo senso dell’orientamento, sapevo bene che percorso fare per raggiungerti. Quello più corto, dall’ingresso laterale. No, nonno, non lo facevo di corsa. Cioè, sì. Talvolta mi è capitato di correre per arrivare prima da te. Correvo, sfiorando chiunque mi capitasse di fianco. Correvo, anche se sapevo che da lì non ti saresti mosso. Ad ogni passo percorso, ero più vicina al tuo cuore.
Lo prometto nonno, non lo rifarò più.

Ero vicino a te. Ma tu non mi sentivi. Mi avvicinavo con delicatezza al tuo corpo così fragile. Sentivo il debole battito del tuo cuore. Gli occhi chiusi e stanchi. Ma eri sempre tu. Tu che mi leggevi Pinocchio. Tu che ti facevi pettinare i capelli. Tu che giocavi a carte e facevi finta di niente quando volevo vincere a tutti i costi. Tu che mi portavi con il motorino fino a scuola. Tu che ascoltavi il mio cuoricino battere e ripetevi sottovoce quel “tu-tu”.

Ora sono io a chinarmi per ascoltare quella musica. Ed ho paura. Paura che possa fermarsi, inghiottendo tutti i ricordi e le parole, le carezze e la tua presenza.

Tu-tu. Tu-tu. Il mio cuore con il tuo. Sempre.

Non è facile capire per quali ragioni l’organo cardiaco sia stato associato, nel corso della storia, al profondo universo delle emozioni.
Luogo della memoria e dei ricordi, il cuore è comunemente considerato all’origine dei nostri sentimenti e organo-fondatore della nostra identità.
È necessario tuttavia specificare che questo ruolo centrale fu assegnato al cuore battente solo dopo alcuni secoli. Lungi dall’essere considerato il vivo della vita biologica, psichica, e pulsionale, Sumeri, Assiri e Babilonesi fondarono lo studio del corpo umano su un sistema di tipo ematocentrico.
Inoltre, durante lo stesso fiorire delle civiltà mesopotamiche, in Grecia, Alcmeone di Crotone realizzò i suoi studi di medicina appoggiandosi sul modello egemonico dell’encefalocentrismo, in seno al quale, grazie alle ricerche pratiche condotte dal filosofo e medico greco, il cervello incominciò a rappresentare la sede della congiunzione delle diverse forme di sensazione.
Solo all’interno del Corpus hippocraticum, e più precisamente nel suo Perì Kardies, Ippocrate fornirà le prime osservazioni scientifiche circa la composizione dell’organo cardiaco, attribuendogli un valore centrale in quanto “fuoco innato” che permette al sangue di realizzare, attraverso il calore, il suo circolo.
Gli stessi studi ippocratici furono successivamente rivisitati da Galeno il quale, affermando che la centralità della vita consisteva nel pneuma, cioè nell’aria, o meglio nello spirito, fece del cuore l’organo per eccellenza in quanto sede al contempo della vita fisico-biologica e di quella psichica.

Situato al centro della cavità toracica, fra i due polmoni, dietro lo sterno e appoggiato sul diaframma che lo divide dalle viscere sottostanti, il cuore non è unicamente l’ammasso di cellule del miocardio, necessarie, d’altro canto, per la sua stessa contrazione.

Ciò ci viene suggerito dalla sua stessa origine etimologica. Infatti, il termine “cuore” deriva da un lato, dal latino cor-cordis, richiamante la radice indoeuropea kor avente, nel caso specifico, il significato di “vibrare”, “battere”, e dall’altro, dal greco cardia che proverrebbe dall’antico accadico karsu con il significato di “organo interno”, “viscere come sede delle passioni”, “animo”, “intelligenza”.
L’origine della parola ci permette perciò di riflettere sul significato culturale e psicologico del cuore.

Batticuore. A malincuore. Strappacuore.
Par coeur. By heart.

Sono precise le circostanze nel corso delle quali utilizziamo spontaneamente queste parole.
Ben lontano dall’essere considerato unicamente un organo-pompa per l’attivazione dell’organismo-macchina, il cuore richiama, per così dire naturalmente, il mondo delle emozioni. È forse questa solo una costruzione socio-culturale impastata di luoghi comuni oppure l’organo cardiaco può rivelarsi effettivamente custode della nostra identità emotiva?
Il filosofo Jean Luc Nancy, dopo aver ricevuto un “cuore nuovo” disse:

«Dall’avventura si esce perduti. Non ci si riconosce più: ma “riconoscere” non ha più senso. Si diventa, rapidamente, solo un ondeggiamento, una sospensione di estraneità fra stati non ben identificati, fra dolori, impotenze, cedimenti. Riferirsi a se stessi è diventato un problema, una difficoltà, un’opacità”.  Un cuore “altro”. Un intruso. Un estraneo. Un perdersi senza mai ritrovarsi. Un’identità in frantumi. Una nuova vita. Un racconto di sé che continua. Un nuovo giorno. Un battito nuovo. Diverso»1.

Ero vicino a te. Sentivo il tuo cuore battere. Era sempre lo stesso. Eri sempre tu. Anche se lì dentro qualcosa era cambiato. Il mio cuore batteva con il tuo. E in fondo, credo, questa musica non ce la toglierà mai nessuno.

Il mio cuore con il tuo.

 

Sara Roggi

 

NOTE:
J.L. NANCY, L’intruso, Edizione Cronopio, 2006, 46 p.

 

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