La tenerezza può diventare una postura esistenziale davanti al caos e l’illogicità del mondo? Si può scegliere di essere ‘teneri’? Con quali implicazioni?
Due uomini seduti uno di fronte all’altro chiacchierano, di tante cose; si accordano un’attenzione pressoché totale, un ascolto pieno di tensione amorosa, di gomiti larghi slanciati sul tavolo e la schiena pure piegata, pure tesa: sono John Berger – critico d’arte, scrittore e pittore britannico – e il suo amico Michael Silverblatt, lettore di mestiere, che chiacchierano in occasione di una puntata del programma radio Bookworm.
Il mondo narrativo di Berger, sottolinea Silverblatt, disegna i confini di un modo di vivere e di guardare; è una visione, un ordine etico del cosmo in cui pulsano alcuni nuclei essenziali: il silenzio ancestrale, portatore di una voce sua, eloquente, potentissima, che condensa la parola dei più remoti tempi e spazi; la lentezza, sia come opportunità di ripristinare valori ancora una volta ancestrali, eterni, sia anche come modalità di approccio all’esperienza; la pazienza davanti al boato inintelligibile del mondo, simile a uno spaventoso urlo di Munch, la pazienza necessaria per aspettare che quel grido muto si condensi in un senso, in una forma o un suono nitido, in un mormorio anche balbettato.
Berger ci mostra uno spazio di processi che si svolgono ed esauriscono sempre in un cerchio perfetto, realizzandosi un istante per disfarsi l’istante dopo e di nuovo ripetersi, ancora, ancora; uno spazio teso all’ascolto, alla percezione della vibrazione più leggera e apparentemente irrilevante, saldato su strutture di silenzio e vigorosa apertura all’esterno. Si tratta, citando Silverblatt, di «una crescente educazione alla lentezza, alla tenerezza, a valori eterni, alle cose che si conservano» (trad. mia).
L’idea di un’apertura tesa alla ricezione totale della vita è presente anche in Simone Weil: l’attenzione e la tensione verso l’esterno diventano sinonimi di amore per la vita; amore inteso non in termini di legame affettivo ma di primordiale forza vitale che si realizza specificamente nell’allenamento a guardare e a sentire gli elementi del quotidiano, nel raggiungimento di una ‘porosità’ personale, cioè disponibilità a lasciarsi modificare dall’esperienza cangiante dei sensi per stabilirsi appieno nel momento presente.
Weil guardava all’amore e all’attenzione come a membri di una stessa equazione, in cui la seconda era essenziale prerequisito alla prima: attenzione e amore formavano uno stesso muscolo che poteva essere allenato fino a palpitare in risonanza con l’universo intero; l’attenzione diventava allora tentativo di amare, di ricevere e fare proprio il tutto e contemporaneamente a sciogliersi in quel tutto.
In questa dialettica di attenzione e amore per la vita vi è un elemento che Weil integra di sbieco nella sua equazione ma che Berger esplicita apertamente nell’intervista di Silverblatt: la tenerezza.
Che cos’è? Che ruolo occupa la ‘tenerezza’ nella visione etica di Berger? Una definizione o la risposta non sono immediate, ma proprio la tenerezza come sentimento e come postura potrebbe essere la chiave per entrare nella dimensione bergeriana, e in fondo, a pensarci non è inaspettato: come potrebbero darsi la porosità, lo sforzo, l’allenamento, la tensione a sentire e a recepire, a percepire ed assorbire se la nostra pelle fosse scorza invece di polpa tenera, un’effimera barriera tra noi e il cosmo? La tenerezza, da condizione o sentimento di commozione come definita dalla Treccani, diventa nelle parole dello scrittore una vera e propria scelta individuale di carattere etico, un tentativo di vedere le cose diversamente, di vivere con più intensità e riconoscere e accogliere in sé la bellezza; lo stesso Berger parla di tenerezza come free act: ‘tenderness as a choice’, idea ripresa anche da Chiara Valerio e Michela Murgia in una puntata di Buon Vicinato, dove accennano alla tenerezza come postura davanti alla collettività.
Berger e Weil suggeriscono che proprio la tenerezza generi un senso della vita più acuto e un ricordo, una presa di contatto sul reale più fermi, e che l’attenzione come modo di porsi rispetto all’altro e rispetto al mondo ne sia la base imprescindibile. La tenerezza è un sentimento sì, ma non di commozione, bensì di amore, in cui scelgo di tendere i sensi, di ricevere e assorbire e inevitabilmente assumo una postura di apertura, di porosità dell’animo e del cuore che mi intenerisce, che mi induce a una risposta tenera, appunto, di cura verso l’esterno.
Ecco che amore e attenzione, porosità, lentezza, pazienza, ascolto, apertura, tentativo di connessione finiscono per svelare una contiguità; come del resto già sembravano alludere, nel loro ascolto ansioso e teso alla massima ricezione, Berger e Silverblatt quando in una vecchia cucina alle soglie del 2000 conversavano di libri e amore, di vita e personaggi.
NOTE
[Photo credit adrianna geo via Unsplash]