La medicina e la filosofia sono due forme di conoscenza indissolubilmente legate, in dialogo tra loro fin dalle origini. Entrambe si prendono cura della fragilità degli esseri umani ed entrambe ingaggiano una trattativa con la morte, una più sul versante corporeo, l’altra più sul versante morale. Di fronte alla morte entrambe si pongono il dilemma tra il rifiuto e la rassegnazione della nostra caducità. Ci sono ancora molte conquiste da fare per provare a “governare” la propria morte, per lo meno per provare in certi casi ad assoggettarla alle proprie volontà.
Un piccolo passo in questo senso è stato fatto l’11 febbraio scorso, sul fronte dei diritti all’autodeterminazione della propria salute. La Toscana, infatti, è diventata la prima regione ad approvare le procedure per attuare l’aiuto sanitario alla morte volontaria. Il suicidio assistito è già legale in Italia, grazie alla sentenza del caso Dj Fabo (2019); purtroppo, quando manca una legislazione dedicata, sono le sentenze a fare legge. Infatti, in Italia le fratture ideologiche del Parlamento, nonostante i cambi di governo e di vedute, non hanno consentito di produrre leggi ad hoc per colmare il divario anacronistico tra leggi del passato e libertà dal punto di vista bioetico attuale (considerate anche le possibilità scientifico-tecnologiche della medicina contemporanea).
L’ultima legge lungimirante in questo senso è stata approvata nel 2017 ed è quella sulle direttive anticipate di fine vita (DAT), grazie alla quale tutte le persone maggiorenni possono compilare un “testamento” per indicare che cosa vorrebbero fosse fatto del loro destino qualora si trovassero in condizioni di grave patologia e fossero contestualmente incapaci di esprimere una volontà a tal proposito.
Il pilastro di tutta la discussione sul fine vita, in Italia, si basa sul famoso articolo della nostra Costituzione, il n. 32, che sancisce la salute come fondamentale diritto di individui e comunità, nonché l’autodeterminazione della propria salute e la possibilità di rifiutare cure non desiderate (esclusi alcuni casi sanciti dalla legge). Il problema dell’articolo 32 si è sempre posto in casi specifici in cui esso viene a collidere con alcuni articoli del codice penale italiano (precedente alla Costituzione), come ad esempio il n. 580, che punisce l’istigazione o l’aiuto al suicidio. Questo scontro normativo è la ragione per cui Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni fu accusato di reato dopo aver accompagnato Dj Fabo in Svizzera al fine di procedere al suicidio assistito (legale secondo la legislazione svizzera). L’assoluzione di Cappato fece sì che la sentenza sia, ancora oggi, un riferimento giuridico importante in assenza di leggi sulla materia. Infatti, seguì nel 2022 il caso di Federico Carboni, la prima persona in Italia ad aver avuto accesso legale al suicidio medicalmente assistito; nonostante ciò, la sua regione (le Marche) non prestò l’assistenza sanitaria nella parte attuativa delle procedure necessarie (lo fece l’Associazione Luca Coscioni).
La seconda persona in Italia ad aver ottenuto il via libera al suicidio assistito è stata “Gloria” (nome di fantasia), nel 2023, questa volta con una importante novità: l’azienda sanitaria della sua regione, il Veneto, confermava che farmaco e strumentazione indispensabili per la procedura sarebbero stati forniti dal sistema sanitario nazionale (tuttavia, non è stato trovato in Veneto il medico disponibile a eseguire la preparazione e la signora si è rivolta al dott. Mario Riccio, che aveva assistito anche Federico Carboni e Piergiorgio Welby).
Nonostante questo importante step in avanti, il Veneto ha bocciato (per un voto) nel 2024 la proposta di legge che ora la Toscana ha approvato per prima. Il presidente Luca Zaia ha, proprio recentemente, affermato di voler tornare sulla questione in giunta regionale.
Quello che le regioni devono fare è approvare leggi apposite per normare le procedure utili a rendere realizzabili i percorsi di morte assistita nelle strutture sanitarie italiane, affinché ciò che ora è un diritto conclamato, possa essere una realtà e non un’altra battaglia per le persone malate terminali già esauste per le loro sofferenze. Coloro che chiedono di terminare la loro vita sono pazienti consapevoli con patologie gravi a esito infausto, dipendenti da cure divenute insopportabili, utili solo a prolungare la loro sofferenza. Quello che desiderano è di essere liberi di autodeterminarsi, così da vedere rispettato un diritto costituzionale di cui andiamo fieri da ben 77 anni.
Per quanto riguarda la bioetica, la disciplina che specificatamente si dedica all’esplorazione dei temi di conflitto in medicina e salute, i suoi quattro principi cardine, cioè giustizia, autonomia, beneficienza e non maleficienza, rimangono utili per orientarci nella ricerca di senso in questi temi delicati. La Costituzione riconosce l’autodeterminazione, quella forma di libertà che è un principio saldo delle nostre democrazie e alla quale non vorremmo mai rinunciare. Che ognuno possa autodeterminarsi è dunque una questione di giustizia, affinché le cure sproporzionate, non più sensate per lo stadio della patologia che dunque sono percepite dal paziente come una maleficenza, possano essere terminate. Vedere rispettata la propria libertà secondo giustizia e fermare la non più utile sofferenza sono l’ultima istanza di beneficienza che la persona malata supplica di ricevere.
[Photo credit Soliman Cifuentes via Unsplash]