«L’armonia nascosta è più forte di quella manifesta[1]». Citando questo aforisma di Eraclito, Gadamer si avvia all’analisi della dimensione della salute: di ciò che «consiste proprio nel prodigio di un’armonia salda, ma nascosta[2]».
La salute richiede armonia, tanto in riferimento all’ambito sociale, quanto all’ambiente naturale: solo ciò può permettere di inserirsi pienamente nel ciclo naturale della vita. Ciò che l’autore pare sostenere a chiare lettere è che non è la salute bensì la malattia a manifestarsi nei termini di ciò che si oggettiva da sé, ciò che invade un determinato organismo. E in questo contesto il sintomo sta ad indicare, nello specifico, quello che di una determinata malattia si manifesta: cosicché «[…] il vero mistero si trova nel carattere nascosto della salute. La salute non si dà a vedere[3]». Infatti «esiste anche una misura naturale insita nelle cose stesse. In verità non è possibile misurare la salute, proprio perché essa rappresenta uno stato di intrinseca adeguatezza e di accordo con se stessi, che non può essere superato da nessun altro tipo di controllo[4]».
La salute si propone come quell’ordine, quell’adeguato equilibrio dello svolgersi della vita, come assenza di gravità (in quanto i pesi dell’esistenza si elidono l’un l’altro): nella sua segretezza, essa si percepisce come senso di ben-essere e soprattutto nel momento in cui, essendone consci, si è aperti alla intraprendenza, alla conoscenza, nella dimenticanza di se stessi e degli sforzi, nella scogliera della vita.
Gadamer definisce la salute come un esserci, non un sentirsi, come un essere parte del mondo, nella comunicazione con le altre forme di vita, occupati con attività e gioia nei compiti particolari dell’esistenza; si manifesta come ritmo che la vita assume, in quel processo perpetuo in cui l’equilibrio permane adeguato: «L’armonia della salute dimostra la sua vera forza proprio in quanto essa non stordisce come il dolore penetrante o il delirio paralizzante dell’anestesia che in verità indicano o procurano disturbo[5]».
Alla luce di queste brevi riprese, si ci potrebbe chiedere come “tradurre” questi flussi di pensiero nella vita pratica. Prendendo ad esempio l’ambito del rapporto terapeuta-ammalato, si potrebbe allora ritenere che il compito del medico si identifichi con il ristabilire la salute del malato (in primo luogo), ma inducendo in lui il “riproporsi” di quell’unità che quest’ultimo aveva con se stesso, dandogli così modo di riappropriarsi delle sue capacità, facendogli riscoprire la possibilità di rientrare nell’esistenza. La salute, infatti, si caratterizza come quella totalità (hólon) che penetra nel mondo della natura «in virtù della propria vitalità, in sé compiuta che continuamente si autoriproduce[6]».
Il medico non potrà mai avere la completa illusione che caratterizza la capacità pratica e la produzione. Egli sa che nel migliore dei casi a trionfare non è lui stesso o la sua abilità, ma la natura sostenuta dal suo aiuto. […] La scienza medica è l’unica in fondo a non produrre nulla, ma a dover fare i conti espressamente con la prodigiosa capacità della vita di ristabilirsi ed equilibrarsi da sola. Il compito peculiare del medico consiste proprio nell’aiutare a conseguire il conseguimento della salute. […] Lo scopo principale è di riuscire infine a far trionfare nuovamente la verità anche sopra la falsità della malattia[7]
Riccardo Liguori
NOTE
[1] G. Colli, La sapienza greca, Eraclito, Adelphi, Milano, 1980, fr. 14 [a20], pag. 35.
[2]H. G. Gadamer, Über die Verborgenheit der Gesundheit, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1993; tr. it. a cura di Marialuisa Donati e Maria Elena Ponzo, Dove si nasconde la salute, Raffaello Cortina, Milano 1994, pag. 140.
[3] Ivi, pag. 116.
[4] Ivi, pag. 117.
[5] Ivi, pag.225.
[6] Ivi, pag. 98.
[7] Ivi, pag.99.