Nel sogno c’erano file imperiose di banchi in palissandro. Sopra i tavoli sulla destra, maioliche porcellane terrecotte terraglie e altre ceramiche accomodate qua e là, caotiche, con superba noncuranza. La regina d’Inghilterra non potrebbe scegliere un servizio migliore, dissi.
La regina d’Inghilterra ha di sicuro queste ceramiche, commentò la mia amica.
Ma allora come mai le tiene in questo negozio di antiquariato?
La mia amica, in realtà, non voleva dire che la regina d’Inghilterra possedeva proprio le ceramiche che stavamo osservando, ma intendeva ceramiche dello stesso tipo. Mentre mi spiegava questa cosa, ci incamminammo verso il grande banco di sinistra. Sopra c’erano orologi di ogni sorta, argenteria e oggetti cinesi. Tutto era molto curioso, ma una cosa in particolare risaltò ai nostri occhi: era un candelabro d’argento molto grande rispetto alle dimensioni degli altri oggetti. Aveva una base ampollosa, un collo lungo e elegante e cinque sottili bracci anneriti. Un solo braccio reggeva una candela che qualcuno aveva lasciata accesa, probabilmente l’antiquario.
Poco sopra la fiammella, pendevano gocce di cristallo. Erano poco più di una ventina e componevano la corona di un grande lampadario, uno dei tanti appesi al soffitto. L’avevo visto a teatro da bambina.
Proprio questo lampadario? Chiese la mia amica.
Beh, no, non esattamente questo. Le raccontai che si trattava di un lampadario di cristallo molto simile, ma immenso. Sospeso al centro del teatro, sovrastava la platea e sembrava anche molto pesante. Io, che temevo il peggio, pregavo ogni volta mia zia di sederci in galleria, lontano da quel coso luminoso.
Questo lampadario, invece, non è che facesse molta luce, ma se lo si considerava insieme ai suoi fratelli lampadari allora sì, il negozio poteva dirsi luminoso. I quadri, sulle pareti, erano ben visibili e lo era anche quella scultura che, con broncio marmato, sembrava fare la guardia alla stanza.
Nell’angolo in fondo dove il negozio rientrava c’era un’antica credenza in mogano. Mentre ci avvicinammo per studiarne il profilo, giunse finalmente l’antiquario. Con grande sorpresa, notammo che si trattava di un bambino. Ancora più grande fu la sorpresa quando realizzammo che era proprio lo stesso bambino che avevamo incontrato nella città senza nome.1
Il bambino notò subito il nostro interesse per la credenza, così domandò se ci piaceva quel pezzo da collezione da brivido e se lo volevamo comprare. Sì, disse proprio “da brivido”, anche se, a dire il vero, a osservare la credenza non avevamo sentito freddo. A noi piaceva molto, ad esempio, il gioco di colore che si creava tra il mogano e i cassetti che erano stati verniciati con varie tinte.
Rispondemmo che era proprio un bel pezzo da collezione e lui ci raccontò che suo nonno l’aveva appena finita di restaurare completamente: aveva sostituito ogni suo pezzo a mano a mano che si era usurato. Costa settemilacento euro, ci informò. Infatti è del Millesettecento.
Lo stile, intendi? Chiedemmo, dato che se i pezzi erano stati tutti sostituiti e del legno originale non restava più traccia, non ci pareva possibile che il bambino si riferisse alla credenza.
No, la credenza! È stata restaurata con la massima fedeltà all’originale, quindi è sempre la stessa, ci informò con tono sicuro.
Anche le tue parole dicono implicitamente che una è la credenza che abbiamo davanti agli occhi, altra è la credenza originale del Millesettecento. Per quanto il legno sia stato trattato per sembrare antico e uguale a…
Nessuno noterebbe la differenza! Rispose il bambino, sulla difensiva.
Che c’entra: se il materiale è un altro, non puoi dire con questa sicurezza che le due credenze sono lo stesso mobile, disse la mia amica. Non diresti infatti che due gemelli sono la stessa persona solo perché si assomigliano molto, giusto?
E se io ti dico che non si è mai mossa, anche quando è stata restaurata, e che è cambiata a poco a poco e non di punto in bianco? Chiese il bambino, e il suo viso si fece immobile e recettivo, curioso di avere risposta a quella domanda.
A me sembra piuttosto che la credenza originale abbia lentamente smesso di esistere, mentre quella nuova le sia nata addosso e l’abbia progressivamente sostituita, disse la mia amica.
Mmm, ha senso.
Non ti pare esagerato dare a intendere che questa sia la credenza del Millesettecento, se di legno settecentesco non rimane una briciola? Intervenni io.
Beh, potrei dire “Vendesi credenza di stile settecentesco”, gorgogliò, aggiustando il suo pensiero.
Il che sarebbe corretto, continuò la mia amica. Ma allora potresti pensarci un po’ su prima di mantenere un prezzo così alto. Poi, se vogliamo essere pignoli, per una credenza che ha uno stile del Millesettecento forse sarebbe più adatto proporre millesettecento euro, non settemilacento. In questo modo il costo sarebbe, in un certo senso, adeguato allo stile.
I settemilacento euro divennero millesettecento e la mia amica accolse l’offerta. Peccato che questa faticosa trattativa si rivelò inutile, poiché qualche goccia di pioggia interruppe il mio sogno, svegliandomi.
La valigia del filosofo
NOTE: