Dioniso è una divinità molto complessa, capace di demolire le difese dell’ego e portare alla condivisione universale. In lui si riversa la pulsione animale e l’anelito al divino, il maschile e il femminile, l’eros carnale e l’ascesi, il turbine delle emozioni più ancestrali e la contemplazione dell’estasi, la discesa negli spazi reconditi e scandalosi dell’anima e la liberazione da essi. Dioniso è simboleggiato nel toro, nel serpente, nel capro o nel satiro, altri suoi simboli sono l’edera, la vite (sarà Bacco per i Romani) e altro ancora, insomma, una molteplicità che ci narra della sua impossibilità a giacere nell’univocità.
Oggi manca un riferimento simbolico così potente nel riunire gli opposti e liberare dall’oppressione del quotidiano. Non ci rimane che interrogarci sulla sua provenienza, per comprendere meglio cosa ci manca.
Nel mondo minoico-miceneo di Creta va ricercata l’origine del suo culto, come scrive anche Giorgio Colli1. Questo ci porta a entrare nel mitico labirinto di Minosse, dove incontriamo anche Arianna e il Minotauro. Il mito che qui si offre potrebbe essere il più antico e fondante della cultura greca, mille anni prima del suo apogeo. In questo misterioso cosmo ebbero origine i caratteri fondanti di quella sapienza che darà poi origine alla filosofia. Nietzsche ha avuto il merito di dissotterrare il dionisiaco e scoperchiare la sua sconvolgente potenza.
Il legame di Dioniso con la filosofia si svela attraverso un racconto tra storia e mito.
Il popolo minoico fu così chiamato dal nome del mitico re di Creta, Minosse, che fece costruire il labirinto per imprigionare il Minotauro, una sorta di alter ego dionisiaco, mostro mezzo uomo e mezzo toro, partorito dalla moglie. Questo mito ci arriva così maneggiato dalla cultura greca e per noi la civiltà minoica non ha voce; quasi cancellata da catastrofi naturali, i suoi resti furono assorbiti dagli invasori, i Micenei.
Il labirinto, riconducibile alla struttura intricatissima dei palazzi minoici, è una figura centrale. Esso simboleggia probabilmente la sfida dell’enigma, il percorso tortuoso e sfiancante della conoscenza, la cui insidia è quella di far smarrire o divorare l’essere umano mentre tenta di emanciparsi dalla sua animalità attratto dall’ammaliante possibilità di elevarsi a dio attraverso il possesso della conoscenza. La tensione dialettica tra le polarità apparentemente inconciliabili della bestialità e della tensione al divino, è il filo, dionisiaco, che conduce alla sapienza.
Chi era il sapiente? «Essere sophos significava essere radicato nell’Assoluto, essere attraversato dall’eternità, ed essere-uno… con l’origine di tutte le cose»2, come nel caso di Eraclito, Empedocle o Pitagora, o tutti gli altri che si collocano prima dello spartiacque: Socrate, l’ultimo sapiente prima che l’impresa della conoscenza si depositasse nella scrittura. La scrittura è percepita come un potenziale inganno perché il sapere è materia viva, dinamica e fluida, si presta al lavoro del confronto, si arricchisce nello scambio umano, con il dialogo e la critica. La filosofia nasce invece come forma letteraria fondata sulla logica raziocinante e rifugge dall’oscurità enigmatica dei sapienti.
La nascita della filosofia si congiunge al declino della sapienza perché se la razionalità tende a essere calcolante e produttrice di ordine, si allontana dal lato oscuro della mente umana, spalancato all’abisso del caos, dove gli opposti convivono e lottano tra di loro. Il sapiente sa sfidare questo abisso e uscirne arricchito, ma esiste una possibilità anche per tutti gli altri. Questa è nel dionisiaco che si offre attraverso pratiche collettive di culti e misteri in cui la condivisione tra adepti consente quella fuga dall’individualità funzionale alla visione liberatoria che il sapiente raggiungeva attraverso percorsi conoscitivi diversi.
Dove la collettività sperimenta rituali di condivisione e fuga dal quotidiano, ma anche quando il singolo abbandona la propria configurazione individuale e temporanea per ricongiungersi al tutto, lì appare il dionisiaco. Di tutto ciò non possiamo che constatare un’enorme assenza, visto il nostro esser consegnati alla logica della ragione senza spazi istituzionali, al di fuori della religione, per coltivare la dimensione più intima, ma collettiva, del nostro io. Questa dimensione è talmente sconvolgente che l’io sparisce, perché in fondo al tunnel c’è l’uno, il tutto, la miscela incendiaria degli opposti. Solo nell’esperienza mistica possiamo ritrovare qualcosa di simile oggi, ma lungi dall’essere un’esperienza collettiva, essa perlopiù rimane qualcosa di individuale.
Alla fine, Dioniso è il filo conduttore di una storia lunghissima, albeggia in civiltà remote e si dissolve nel Cristianesimo, tuttavia non è scomparso nelle trame delle religioni orientali. Egli è sempre pronto a svegliarsi grazie al suo potere: quello di legare tutto assieme e offrirci un momento di liberazione attraverso pratiche che attendono solo di essere cercate e che potrebbero forse lenire la diffusa malinconia della nostra società.
Sull’esempio di Alice nel Paese delle Meraviglie, osate passeggiare sul prato dove nasce la filosofia e poi tuffatevi nella prima cavità per un viaggio nel suo sottosuolo!
Pamela Boldrin
NOTE:
1. G. Colli, La nascita della filosofia, 1975, p. 25.
2. A. Tonelli, Sulle tracce della sapienza. Per una rifondazione etica della contemporaneità, 2009, p. 33.
[Immagine a cura dell’autrice]