Gli sviluppi e gli avanzamenti della medicina avvenuti negli ultimi decenni hanno reso diagnosticabili e guaribili numerose malattie, ma parallelamente hanno contribuito a tramutare patologie acute in croniche. Inoltre, si è assistito all’aumento di stati patologici riconducibili a cause di tipo ambientale, nonché a stili di vita e di comportamento erronei che sono diventati fonte di traumatismi da incidente, malattie metaboliche e cardiocircolatorie, malattie psicosociali.
Questo cambio di prospettiva ha reso necessaria l’introduzione in medicina del concetto di curabilità nel senso più ampio del termine, ovvero, come alternativa alla guarigione laddove non è possibile curare in senso strettamente medico-clinico.
Ed è proprio dal principio per il quale curare non significa solo guarire che nasce “La Carta dei Diritti del Bambino Inguaribile”.
Il documento, elaborato nel maggio 2018 presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, è un decalogo stilato per garantire cure equanimi a tutti i bambini le cui condizioni di salute sono particolarmente gravi e croniche o che si trovano nelle fasi terminali della vita.
Questa Carta nasce, non a caso, dopo le recenti e complesse vicende avvenute in Gran Bretagna che hanno avuto come protagonisti due bambini e i loro genitori: Charlie Gard affetto da una sindrome da deplezione del DNA mitocondriale e Alfie Evans affetto da una patologia neurodegenerativa rara sconosciuta. In entrambi i casi si è accesa una controversia giudiziaria che ha avuto come protagonisti da un lato i genitori dei bambini e dall’altro i medici della struttura ospedaliera che li aveva in cura. In entrambi i casi è stata svilita l’importanza dell’alleanza terapeutica tra famiglia e medici che prevederebbe una piena compartecipazione nel percorso di cura, condivisione e collaborazione nelle decisioni da prendere e da attuare.
Alla base del decalogo, c’è il primo articolo che dichiara il diritto del bambino e della sua famiglia alla migliore relazione con il medico e il personale sanitario: la comunicazione ed il consenso informato rappresentano i valori imprescindibili sui quali si fonda il processo di cura.
Il secondo articolo sancisce il diritto all’educazione sanitaria per il bambino e per i suoi familiari: è solo attraverso la piena comprensione della patologia e del trattamento ad essa riservato che può prendere avvio una reale partecipazione al percorso terapeutico di tutte le parti in esso coinvolte.
Strutture sanitarie ed equipe medica devono garantire il diritto del bambino e della sua famiglia di richiedere e ottenere un secondo consulto clinico, come spiega l’articolo 3 della Carta: «un approfondimento o un’opinione medica aggiuntiva da parte di sanitari e strutture con comprovate competenze su una diagnosi ricevuta o un trattamento prescritto».
Al piccolo paziente deve essere garantito il massimo livello di cure e di assistenza per assicurarne le migliori possibilità di sopravvivenza. Il bambino e la sua famiglia, hanno quindi il diritto ai migliori approfondimenti diagnostici (articolo 4), che si traduce nel «diritto a essere indirizzati e a consultare le strutture che abbiano maggiore esperienza e qualificazione, anche in ambito extranazionale».
Nel suo quinto articolo il decalogo stabilisce il diritto del bambino di accedere alle migliori cure sperimentali «approvate da Comitati Etici che si avvalgano di specifiche competenze pediatriche, nell’ambito di studi condotti secondo le Linee Guida per la Buona Pratica Clinica recepite dalla Legislazione europea, e condotti nell’ambito di rigorose procedure scientifiche basate sulle migliori evidenze derivate dalla letteratura internazionale».
Il punto più controverso nei casi di Charlie Gard e Alfie Evans è stata la decisione delle strutture sanitarie di riferimento, confermate a livello giudiziario, di non autorizzare il trasferimento dei bambini in altre strutture e Paesi sopprimendo così la volontà dei genitori; ecco che l’articolo 6 della Carta affronta proprio tale questione. In particolare si afferma il diritto della famiglia «alla scelta di un medico, di un’equipe medica e di una struttura sanitaria di propria fiducia, anche trasferendosi in Paese diverso dal proprio» deve essere rispettato dall’ospedale in cui il bambino è ricoverato.
L’articolo 7 del decalogo prevede il diritto del bambino alla continuità delle cure e delle cure palliative quindi ad un adeguato trattamento del dolore e ad un adeguato sostegno psicologico.
Se la Carta è stata stilata proprio per tutelare i diritti del bambino inguaribile ecco che viene ribadito il concetto secondo il quale curare non significa solo guarire. L’articolo 8 conferma, infatti, il diritto del bambino al rispetto della sua persona anche nella fase finale della vita, garantendo trattamenti di sostegno (medico, psicologico, sociale e spirituale) adeguati e proporzionati alla condizione astenendosi da ogni irragionevole somministrazione di trattamenti. Allo stesso tempo viene sottolineato che «il mantenimento del legame affettivo tra genitori e figlio è parte integrante del processo di cura. Curando i bambini si cura l’intero nucleo familiare».
L’articolo successivo, il numero 9 richiama proprio l’attenzione al vissuto del bambino malato e della sua famiglia attraverso un appropriato accompagnamento psicologico e spirituale.
Infine, l’articolo 10 stabilisce il diritto del bambino e della sua famiglia, alla partecipazione nelle attività di cura, ricerca e accoglienza.
Se è vero che la medicina non è in grado di garantire la guarigione a tutti i bambini, allo stesso tempo e paradossalmente è vero che anche l’inguaribilità può essere curabile perché curare non significa solo eliminare la patologia: il prendersi cura in qualche modo trascende l’obiettivo della guarigione.
Silvia Pennisi
[Photo credits: Janko Ferlič via Unsplash.com]