Cosa accomuna la nostra generazione a Brad Pitt? A parte, è ovvio, le sue ville, il numero di figli adottati e non, e una dea accanto?
Uno strano fenomeno legato all’età.
Ci si laurea a 22/23 anni, ma si è troppo giovani e con troppa poca esperienza per un contratto di lavoro. Allora si cominciano a vendere arti superiori, inferiori, nonne e argenteria per frequentare master (meglio noto come ponte per il mondo del lavoro), corsi di specializzazioni, ed ottenere titoli abilitativi per almeno tre generazioni.
Si comincia ad accettare ogni forma di collaborazione lavorativa. Purché non sia retribuita. Stage trimestrale, stage semestrale, stage annuale prorogabile, non prorogabile, prorogabile ma a condizione di portare il caffè saltellando su un piede solo, stage alla fine del quale “ci sarà una forte probabilità di inserimento”, stage alla fine del quale c’è semplicemente la fine.
Ci si ritrova a 26/27 anni con un curriculum pieno di date, nomi, strane parole inglesi indicanti il nulla, per alcune posizioni troppo “senior”, e per altre ancora troppo “junior”. Coordinateve.
Nella disperazione ci si comincia a buttare sui concorsi pubblici. E qui, il delirio anagrafico. A 27 anni si può comodamente rientrare nella categoria dei “giovani tirocinanti”. A 30 sei troppo vecchia per quel tipo di qualifica. A 35 rientri tra “giovani laureati”. Roba che in Svezia a 35 anni sei già nonna.
Ma quanti anni abbiamo? Mi sento una punta confusa. In 10 anni siamo ringiovaniti ed invecchiati almeno 24 volte.
L’unica certezza è che abbiamo lavorato. Senza essere mai stati assunti.
Benjamin Button te dico levate.
Donatella Di Lieto
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