Che tu sia un genitore, un giovane studente o un educatore di qualsiasi tipologia, avrai sicuramente consultato almeno una volta il registro elettronico. Per tutti gli altri, brevemente: il registro elettronico è una piattaforma digitale che permette il monitoraggio di voti, assenze e compiti in tempo reale. È uno di quegli strumenti che oggi piace sia ai genitori ansiosi sia ai genitori più narcisisti, quelli che vivono costantemente nell’attesa del risultato da postare o inviare ad amici e parenti. Ho provato quindi ad immaginare cosa ne penserebbe don Lorenzo Milani che, in tempi ormai lontani, promosse un modello educativo radicalmente diverso da quello tradizionale dell’epoca. Per don Milani la scuola doveva essere un luogo di emancipazione, dove i più deboli e gli emarginati avrebbero trovato una seconda opportunità, quella che gli era preclusa da una condizione di “classe inferiore”. La sua era una scuola senza voti, senza gerarchie e, soprattutto, senza strumenti che potessero alimentare competizione e controllo burocratico. Come scriveva in Lettera a una professoressa: «Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra diseguali» (L. Milani, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, 1967, p. 45). Ogni scelta educativa mirava a costruire una comunità solidale, dove il sapere potesse essere condiviso e messo al servizio della giustizia sociale.
Sperimentando l’attuale contesto educativo, invece, non si può fare a meno di notare quanto questo abbia progressivamente abbandonato la missione educativa e di lotta alle disuguaglianze, per adeguarsi ad un sistema neoliberista che spinge gli attori sociali all’ipercontrollo e alla competizione. In questo sistema tutto deve essere controllato, calcolato e analizzato: dalla frequenza cardiaca alle ore di sonno, fino ad arrivare alle prestazioni scolastiche. Possiamo chiamarla ipermonitorizzazione e descriverla come un’ossessiva raccolta, analisi e interpretazione di dati per qualsiasi aspetto della vita umana. Il tutto, da una recente intervista a Christian Laval, autore del testo Educazione democratica (Novalogos 2022), sembra consolidarsi in una perfetta conciliazione tra ideologie performative e una neonata “scuola del merito”. Una scuola che smette di occuparsi della crescita della persona e inizia a formare l’imprenditore, l’attore di successo richiesto dalla società neoliberista.
Per don Milani, invece, ogni studente era prima di tutto una persona con una storia, dei bisogni ed un potenziale unico. È da questa differenza che, a mio avviso, con una oramai impulsiva raccolta decontestualizzata di dati e numeri, rischiamo di ridurre gli studenti a semplici statistiche. Voti e assenze diventano parametri impersonali che spesso non tengono conto delle complessità di ciascun individuo. Questo approccio sembra contribuire a un’educazione che privilegia il controllo rispetto alla comprensione profonda della persona. Inevitabile, ancora una volta, citare don Milani: «Spesso l’obbedienza è la più subdola delle tentazioni» (L. Milani, Esperienze pastorali, Libreria Editrice Fiorentina, 1958, p. 120).
Se il registro elettronico oggi facilita un ipercontrollo e una connessione costante scuola-famiglia, don Milani, al contrario, predicava una responsabilità condivisa tra le due istituzioni. Una responsabilità riposta sulla fiducia e sul sacrificio: un sacrificio che partiva dalle famiglie ed arrivava sulle spalle dei pochi ragazzi che riusciva a seguire, in una estenuante alternanza scuola-lavoro dove gli scolari sacrificavano tutta la loro quotidianità. Detto ciò, penso che l’utilizzo di tecnologie di monitoraggio e raccolta dati rischi di ribaltare questo approccio fatto di presenza, umanità e inclusione.
Chiaramente ci troviamo in una società oggi completamente diversa da quella nella quale militava don Milani e lungi da me semplificare la critica all’intero sistema scolastico sull’utilizzo di uno strumento tecnologico, tra l’altro sicuramente ben studiato e positivamente valutato dal mondo pedagogico. Sono altresì consapevole delle innumerevoli problematiche che il “mondo scuola” si trova a dover affrontare in una società in continuo mutamento. Per tutto ciò auspico che i nostri studenti possano, di tanto in tanto, trovare sul loro cammino non soltanto innovazioni tecnologiche di monitoraggio o schematici programmi scolastici, ma anche il Daniel Pennac di turno, il “maestro salvatore”, colui o colei che possano andare oltre il voto, conservatori e portatori di umanità tra i banchi, e restituire il tempo a chi ne ha bisogno, la strada a chi l’ha smarrita, la fiducia a chi l’ha perduta. Come scrive Pennac: «Non c’è alunno che non possa essere salvato, basta incontrare il maestro giusto» (D. Pennac, Diario di scuola, Feltrinelli, 2007, p. 36). Sono sicuro quindi che, se don Milani fosse qui oggi, ci sfiderebbe a ripensare non solo il registro elettronico, ma l’intero sistema che lo sostiene. Ci inviterebbe a chiederci se il percorso intrapreso serva davvero a includere i più deboli, a educare alla responsabilità e a costruire una comunità più giusta. Perché, come ci ha insegnato, «la scuola non serve ad insegnare ciò che è utile, ma per rendere inutile ogni diseguaglianza» (L. Milani, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, 1967, p. 58).
NOTE
[Photo credit Taylor Flowe via Unsplash]