Eccomi, volevi vedermi?
Sì: ho un problema.
Che problema? Mi sembri in forma; cioè non hai l’aria di un fiore appena sbocciato ma mi stupirebbe il contrario. A guardar bene, hai preso qualche chilo ma non t’abbattere: un po’ di palestra e va via tutto.
Non ti ci mettere, non ho voglia di scherzare. Se t’ho detto che ho un problema, ho un problema.
Lapalissiano. Che hai?
Mi vedi veramente ingrassato? Non la dovevo comprare ‘sta camicia: ha un taglio troppo particolare e cade male, sembra che io abbia la pancia. O forse sono ingrassato veramente? Perché fai quella faccia?
Scherzavo: non sei ingrassato, idiota. Questo problema tanto urgente, allora? Me lo dici cos’hai o aspetto la notifica?
Ah sì: è che ho questo problema che mi assilla. Non riesco più a comporre.
Ah sì?
Sì non so cosa fare, le ho provate tutte: ho provato a comporre di notte, di giorno; a digiuno, a stomaco pieno; l’altra settimana son stato via, sono andato in un posto bellissimo, lontano da tutto e da tutti per allontanarmi dai rumori: a proposito, t’ho postato le foto dell’albergo sul diario ma non hai commentato.
Lontano da tutti proprio, eh?
Come dici?
Niente, fa’ nulla. Allora: hai pensato alla causa di questo blocco?
Ma sì, ti dico che ho provato di tutto: è l’ispirazione che mi manca.
Ti ricordi?
Cosa?
Non ti ricordi: questo è il punto.
Ma di cosa non mi ricordo?
Eh no, non ti ricordi, se hai bisogno di chiedere; un tempo ti sarebbe venuto in mente senza chiedere.
È che sono incasinato ultimamente, son sempre di fretta, in una mano l’agenda e nell’altra il telefono. E poi le prove, le lezioni, i concerti. Praticamente penso nei ritagli di tempo, mi sorprendo a pensare mentre sono sul treno, mentre sono in fila per comprare il pane. A proposito: devo comprare il pane.
Stronzate.
Che dici?
Che sono stronzate, sono tutte scuse: la verità è che sei distratto. Tu e la maggior parte delle persone che ti scivolano attorno e ti fanno la cortesia di non travolgerti mentre “ti soprendi a pensare”. Non vai fino in fondo.
La fai facile tu: ho mille cose da fare. E poi non capisci: tu hai sempre il naso in quella cavolo di biblioteca, con un libro ti svegli e con un altro ti addormenti. A che ti serve, poi, un giorno me lo dovrai spiegare. Io devo lavorare, non posso perder tempo a lambiccarmi il cervello come voi.
E infatti stai lavorando bene, eh? E guarda che quei libri qualcosa da dire ce l’hanno, altrimenti nessuno li leggerebbe più.
Ah sì: infatti è pieno così di lettori di Agostino!
Infatti è pieno così di gente serena, che sa almeno di dover cercare, verso dove andare, in che direzione affannarsi per procedere.
Senti non ho bisogno della paternale da filosofo proprio adesso. Non so se l’hai dimenticato, ma ho un problema, io.
No, non l’ho dimenticato. Infatti t’ho portato una cosa.
Cos’è? Un pezzo di carta?
Sì, tutto Agostino in un biglietto non ci stava.
«Grande è questa potenza della memoria, troppo grande, Dio mio, un santuario vasto, infinito. Chi giunse mai al suo fondo? E tuttavia è una facoltà del mio spirito, connessa alla mia natura. In realtà io non riesco a comprendere tutto ciò che sono. Dunque lo spirito sarebbe troppo angusto per comprendere se stesso? E dove sarebbe quanto di se stesso non comprende? Fuori di se stesso anziché in se stesso? No. Come mai allora non lo comprende? Ciò mi riempie di gran meraviglia, lo sbigottimento mi afferra. Eppure gli uomini vanno ad ammirare le vette dei monti, le onde enormi del mare, le correnti amplissime dei fiumi, la circonferenza dell’Oceano, le orbite degli astri, mentre trascurano se stessi».1
E che significa?
Scoprilo tu, se non ti sei già dimenticato anche di te.
Emanuele Lepore
NOTE
Agostino, Confessioni, X, 8.15