Nel IV secolo a.C. un vecchio logoro e seminudo si aggirava di giorno per le strade di Atene con una lanterna accesa pronunciando la frase “cerco l’uomo”. La ricerca di Diogene di Sinope rappresentava una aperta provocazione nei confronti degli ateniesi, che si erano abbandonati allo sfarzo e al lusso, e richiamava la necessità di ritrovare l’uomo autentico nella sua naturale spontaneità, spogliato dagli orpelli e dagli ornamenti. Nonostante non ci siano pervenuti gli scritti di Diogene, i suoi atteggiamenti estremi hanno generato una serie di aneddoti biografici, riprodotti varie volte anche nella storia dell’arte. Da un punto di vista iconografico, la sua figura è facilmente riconoscibile poiché ricorrono spesso quegli elementi che rimandano al suo stile di vita semplice e al modo polemico con cui egli si presentava agli altri, permettendo ancora oggi di cogliere il valore universale della sua riflessione sull’uomo e sulla società.
In particolare, nell’affresco della Scuola di Atene dipinto da Raffaello agli inizi del Cinquecento, Diogene compare nella grande sala dove sono collocati i filosofi greci antichi, tra cui primeggiano Platone e Aristotele. Vale la pena riprendere i principali elementi che caratterizzano l’immagine di Diogene nel dipinto, perché riconducono ad alcuni passaggi del suo pensiero, che suggeriscono una stretta relazione tra il suo aspetto esteriore e la sua riflessione interiore. Il pensatore, vestito con una corta tunica azzurra, è seduto in modo scomposto su una gradinata mentre legge un testo con il mantello gettato a terra e una ciotola al suo fianco. I pochi capelli e la barba sono arruffati e il corpo, esposto alla vista degli altri, mostra i segni evidenti della vecchiaia.
La posizione stravaccata sulle scale, come quella di un animale, rimanda al soprannome irrisorio “cane” con cui veniva chiamato Diogene dai concittadini per la mancanza di pudore e per la condotta di vita basata sui bisogni essenziali. In realtà, il filosofo accettava di buon grado l’appellativo, poiché il suo comportamento ferino serviva a mettere davanti agli occhi di tutti l’esplicita opposizione alle finte buone maniere e alle costruzioni sociali che allontanavano gli uomini da rapporti veri e genuini. La barba scarmigliata, i radi capelli spettinati e la pelle avvizzita lasciano intendere una volontaria distanza dalla cura del corpo come strumento indispensabile per avere successo. Diogene è vestito con un abito semplice che lo lascia in parte scoperto, mentre il mantello logoro, che gli serviva anche da coperta per la notte, è gettato sugli scalini. Lo scarno abbigliamento è espressione di un distacco volontario da tutto ciò che nel vestire oltrepassa la necessità di coprirsi dal freddo e si può interpretare come opposizione alla moda del tempo, vista sia come espressione di distinzione o omologazione sociale, sia come opera di mascheramento o di adornamento del corpo.
La ciotola crepata al fianco del filosofo accenna al bisogno naturale di ogni persona di sfamarsi in contrapposizione da un lato alla predilezione di alimenti raffinati e alla ricerca ossessiva di diete sofisticate, e dall’altro allo sfrenato e ingordo consumo del cibo che al giorno d’oggi si esprime con la locuzione inglese all you can eat. Il testo che il filosofo è intento a leggere con attenzione, anche se non ne conosciamo il contenuto, testimonia che egli non disdegna affatto la conoscenza e non tralascia lo studio, nonostante la profonda avversione nei confronti della civilizzazione. Nell’opera di Raffaello non compare, invece, nessun accenno alla famosa botte che, secondo i racconti biografici, Diogene aveva scelto come dimora. Anche in questo caso, possiamo interpretare la volontà di vivere fuori dalle mura domestiche come forma di estraniazione dalla società civile urbanizzata che aveva perso un rapporto immediato con la natura.
Questa breve descrizione del dipinto permette di interpretare gli elementi iconografici che caratterizzano la figura di Diogene come manifestazioni estreme di rifiuto del lusso e dello sfarzo della società in cui viveva. La pelle avvizzita, la barba arruffata, l’abito lacero, la scodella rotta e la postura scomposta mostrano come il filosofo cinico non accetti alcuna mediazione, opponendo il suo comportamento in-decoroso a un’idea di decoro che gli ateniesi esprimevano solamente in termini estetici, ossia come ostentazione di ornamenti che nascondevano l’uomo in quanto essere naturale. Per questo motivo, attraverso l’immagine in-decorosa di sé stesso, ancora oggi Diogene suggerisce che ricerca interiore e aspetto esteriore non siano affatto due domini separati. Il decoro, quindi, non rappresenta unicamente una categoria estetica, che rimanda alla forma esteriore dell’ornamento (la decorazione), ma assume anche una valenza etica che riguarda gli atteggiamenti appropriati e dignitosi da adottare quando stiamo insieme ad altre persone.
Umberto Anesi
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