Quando, nel novembre 2019, visitai la mostra Antropocene1, rimasi profondamente colpita dalle immagini esposte. Ciò che mi impressionò non fu tanto la durezza delle situazioni raffigurate, come quella in cui gli abitanti di Nairobi smistano rifiuti nelle immense distese di plastica della città, bensì la loro dimensione. Ormai siamo infatti abituati al costante bombardamento di immagini feroci che descrivono situazioni ancora più brutali, ma le fotografie esposte in quella mostra narrano dimensioni ancora sconosciute perfino ai nostri mass media. Affiancate da pannelli esplicativi sugli effetti dell’Antropocene2, le immagini mi sembravano narrare il mondo da un punto di vista diverso, più ampio. Una prospettiva che non è quella degli astronauti, ma nemmeno quella di un qualsiasi essere umano coi piedi attaccati alla terra: sconfinate vasche per l’evaporazione del litio dagli splendidi colori azzurro e giallo in Cile, miniere di potassio in Russia, ma anche quelle di marmo a Carrara, la sterminata bidonville di Lagos in Nigeria. Sono tutte impressionanti visioni che oggi solo le tecnologie dei droni ci possono consegnare. Stiamo modificando a tal punto il pianeta da poterci ritenere una forza geologica. Stiamo divenendo Terra. Certo, in un modo il cui esito sarà con buona probabilità quantomeno quello di ridurre drasticamente la popolazione umana mondiale, ma stiamo divenendo Terra.
«Una linea di divenire non è definita dai punti che essa collega né da quelli che la compongono: al contrario passa tra i punti, cresce solo nel mezzo e fila in una direzione perpendicolare ai punti che si sono prima distinti, trasversale al rapporto localizzabile da punti contigui o distanti»
G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani, 2017.
Così Deleuze e Guattari definiscono la “linea di divenire” nel capitolo di Mille piani intitolato, appunto, Divenir-intenso, divenire-animale, divenir-impercettibile... Le immagini della mostra Antropocene descrivono molto bene questo concetto: non siamo noi esseri umani e la Terra, congiunti da una linea che ci mette in relazione e che è dipendente da questi due punti distinti, bensì vi è un’unica linea che è il nostro divenire Terra, il nostro – di noi esseri umani e della Terra insieme – esprimerci come forza geologica. Mutiamo assieme, interagiamo nelle miniere di potassio, quando le scavatrici tracciano, sulle pareti cremisi dei tunnel sotterranei, linee che ricordano ammoniti. È un divenire che sta avendo esiti nefasti sulla biodiversità del pianeta, inclusa la nostra stessa specie. In fondo, diveniamo sempre Terra, la differenza sta nell’impatto di tale divenire su di noi e sugli altri esseri che la abitano.
Per aver maggiore presa sul concetto filosofico di divenire, lasciamo l’Antropocene e passiamo all’esempio più celebre proposto dagli stessi Deleuze e Guattari: quello che considera la vespa e l’orchidea come facenti parte di un unico blocco di divenire, all’interno del quale la prima funge da apparato riproduttivo della seconda, e la seconda «diviene l’oggetto di un orgasmo della vespa liberata dalla propria riproduzione» (ibidem). Gli autori proseguono: «La linea – o il blocco – non collega la vespa e l’orchidea più di quanto non le coniughi o non le intrecci: passa tra le due, le trasporta in una comune vicinanza dove scompare la discernibilità dei punti» (ibidem). La linea di divenire passa dunque in mezzo alla vespa e all’orchidea e le avvicina fra loro in una zona di contiguità che trasforma entrambe. Divenire è proprio questo esser travolti da una trasformazione, una velocità che investe e trasporta in uno spazio di prossimità prima sconosciuto.
Per quanto possibile, cerchiamo di orientare il nostro divenire Terra in un’altra direzione, e ricordiamoci che la Terra può divenire senza di noi, ma noi non potremmo divenire nulla senza di lei.
Petra Codato
NOTE
1. La mostra, ospitata in Italia dalla Fondazione MAST di Bologna dal 16 maggio 2019 al 5 gennaio 2020, è curata da Urs Stahel, Sophie Hackett e Andrea Kunard ed è organizzata dalla Art Gallery of Ontario e dal Canadian Photography Institute della National Gallery of Canada in partnership con la Fondazione MAST di Bologna.
2. Riporto la definizione del vocabolario Treccani: «Antropocene: l’epoca geologica attuale, in cui l’ambiente terrestre, nell’insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, viene fortemente condizionato su scala sia locale sia globale dagli effetti dell’azione umana, con particolare riferimento all’aumento delle concentrazioni di CO2 e CH4 nell’atmosfera».
[In copertina: Saw mills #1, Lagos, Nigeria 2016. Photo credit Edward Burtynsky, courtesy Admira Photography, Milano / Nicholas Metivier Gallery, Toronto]