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Ecolinguistica e globalizzazione nella prospettiva di Arran Stibbe

L’ecolinguistica, un campo di studi sviluppatosi negli ultimi decenni, analizza le interazioni tra la lingua umana e l’ambiente. Il concetto basilare è che non solo l’ambiente influenza l’evoluzione del linguaggio, ma che anche il linguaggio influisce sul modo in cui noi umani percepiamo e interagiamo con l’ambiente. La disciplina è andata costituendosi duranti gli anni ’90 del secolo scorso ed è ancora in fase di definizione. Non c’è infatti ancora pieno consenso tra gli studiosi rispetto alle caratteristiche, alle metodologie, agli obiettivi principali e ai possibili contributi che essa può fornire alla sostenibilità ambientale.

Il Professor Arran Stibbe è una delle figure più eminenti all’interno dell’ecolinguistica. Nell’articolo Ecolinguistica e Globalizzazione (Ecolinguistics and Globalisation 20121, mia traduzione dei seguenti passi), egli analizza gli impatti della globalizzazione sulla lingua. È interessante notare come con “globalizzazione” Stibbe si riferisca a un fenomeno che ha caratterizzato non solo gli ultimi decenni ma l’intera evoluzione umana. Nel testo, infatti, egli indica tre “ondate” di «globalizzazione significativa dal punto di vista linguistico». La prima è costituita dalle migrazioni delle popolazioni orali dalla loro originale “bioregione” a nuovi territori. Con il termine “bioregione” si intende «una regione che ha un particolare tipo di ambiente e caratteristiche naturali» (Cambridge Dictionary). Quando una popolazione si insedia in una bioregione, afferma Stibbe, essa sviluppa degli specifici strumenti linguistici che le permettono di adattarsi a quel particolare ambiente. È proprio per questo, sostiene l’autore, che la specie umana è stata in grado di spargersi così velocemente sulla superficie della Terra. Non solo: questa caratteristica spiega anche il degrado ambientale causato dalle popolazioni che migrarono repentinamente da una bioregione a un’altra senza così avere il tempo di adattare la propria lingua ai nuovi spazi.

La seconda “ondata” di globalizzazione, da un punto di vista ecolinguistico, è identificata da Stibbe nell’invenzione della scrittura. Questo cambiamento epocale da cultura orale a scritta ebbe due principali conseguenze: in primo luogo, fissò le narrazioni orali in strutture rigide, meno duttili alla mutevolezza degli ambienti; in secondo luogo, permise alle lingue delle popolazioni dominanti di diffondersi nel mondo e prendere il posto di infinte lingue locali. A detta di Stibbe, quando società dominanti conquistano o invadono culture non belligeranti, «le lingue che codificano le relazioni con l’ambiente si estinguono, e culture che avevano vissuto sostenibilmente nello stesso luogo per centinaia di anni vengono perdute». Da questa consapevolezza si è sviluppata tra gli ecolinguisti l’urgenza di occuparsi maggiormente della diversità linguistica e, conseguentemente, della biodiversità culturale.

Giungiamo dunque alla terza “ondata”, quella che poi ci riguarda più da vicino dal momento che prende in considerazione l’attuale globalizzazione, quella di cui sentiamo parlare tutti i giorni. Secondo Stibbe, nei tempi più recenti, abbiamo assistito alla «diffusione translinguistica di larga scala di particolari discorsi» come quello del progresso, del neoliberalismo, della crescita economica e del consumismo. Ciò ha avuto due conseguenze principali: da una parte, le narrazioni egemoniche hanno preso il posto di quelle locali nei media e nei sistemi educativi, minando quella preziosa interconnessione tra la diversità geografica e culturale; dall’altra, come nel caso dell’imperativo della crescita infinita, l’essenza dominante delle narrazioni egemoniche «contribuisce direttamente al comportamento ecologicamente distruttivo». In particolare, Stibbe identifica alcuni dispositivi linguistici che hanno un impatto negativo sul nostro rapporto con l’ambiente. Quello della “cancellazione”, per esempio, è il modo in cui vengono rimossi dal piano del discorso aspetti dell’esistenza che in realtà sono fondamentali. Stibbe sostiene che è l’intero mondo naturale ad essere stato rimosso dalla nostra quotidianità, o, quando non del tutto rimosso, a essere stato distorto. Basti pensare, per esempio, alle confezioni che si trovano al supermercato in cui sono rappresentati maiali, galli o mucche che pubblicizzano prodotti con la loro stessa carne.

Da questo breve assaggio dei temi e dei metodi dell’ecolinguistica emerge in modo chiaro che un approccio meramente tecnologico alla crisi ecologica non è sufficiente: la lingua plasma il nostro modo di interagire con il mondo, le nostre stesse azioni, e perciò non possiamo esimerci dall’analizzarla e metterla in discussione. Un buon esercizio può essere, per esempio, quello di osservare criticamente pubblicità, ma anche film, videoclip, riviste e addirittura libri per bambini (tendiamo infatti a sottovalutare il loro potere!) e cercare di comprendere quali sono i pilastri culturali su cui si sviluppano i loro linguaggi. Cogliere creativamente questa sfida all’interno della nostra società, e al contempo farsi ispirare da quelle culture le cui lingue sono riuscite ad adattarsi ecologicamente, è un buon primo passo per affrontare i complessi problemi che viviamo oggigiorno.

 

 

NOTE
1.
 https://eprints.glos.ac.uk/1913/1/Ecolinguistics%20and%20Globalisation.pdf .

[Photo credit Esther Tuttle via Unsplash]

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