L’architettura è un fatto d’arte, un fenomeno che suscita emozione, al di fuori dei problemi di costruzione, al di là di essi. La Costruzione è per tener su: l’Architettura è per commuovere.
Le Corbusier
Le sue passioni sono la danza e l’architettura, che ha cercato di unire in un’unica forma d’arte: attraverso l’emozione che possono trasmettere i corpi in movimento, il suo obiettivo è dare vita ad un’architettura innovativa e non statica.
È una giovane Donna di ventinove anni, italiana in quel di Londra, che ha saputo farsi strada grazie alle proprie capacità e alla propria determinazione.
Intervistiamo oggi, per La Chiave di Sophia, Eleonora Nicoletti.
– 29 anni, architetto, donna, un’Italiana a Londra: chi si cela dietro ad Eleonora-non-architetto?
Sono sempre rimasta me stessa: curiosa e piena di dubbi, forse anche più di prima. Più elaboro e più me ne vengono: il mio percorso è sempre stato caratterizzato da tanta curiosità e da quella stessa voglia di volare.
– Come sei arrivata a capire che l’architettura avrebbe fatto parte della tua vita? Come si è sviluppato il tuo percorso?
Per me è stata una scommessa; ero attratta dalle forme in movimento e mi sono avvicinata pian piano al mondo dell’architettura. Nonostante i tanti momenti di sacrificio e le tante notti passate a studiare, ero sempre spinta a continuare grazie alla passione per questa disciplina, che mi prendeva totalmente.
Ho elaborato una tesi di ricerca sulle tecnologie a cui si è interessato uno studio di Londra dove ho iniziato a collaborare a vari progetti dopo aver conseguito la laurea, e poi sono arrivati i miei primi clienti.
– Di cosa ti occupi di preciso a Londra?
Mi occupo di innovazione nell’ambito delle superfici architettoniche: ricerco nuovi materiali da usare in architettura oppure modalità diverse di utilizzare i materiali tradizionali.
L’innovazione mi affascina perché è stimolante scoprire ciò che ancora non si conosce, ovvero suggerire nuove applicazioni possibili che nessuno ha ancora sperimentato.
– Amante della danza a tal punto da inglobarla nei tuoi progetti: come sei riuscita a conciliare questi due mondi all’apparenza così lontani?
L’architettura e la danza rappresentano le mie più grandi passioni: sono due mondi molto vicini tra loro.
La prima dà forma allo spazio. La seconda è un’arte che, oltre ad ispirare emozione, utilizza lo spazio e con il movimento dà forma ad esso.
Ciò che mi ha spinto ad unirle è stata la possibilità di dar forma allo spazio ispirando emozione. Ognuno di noi, infatti, è sempre condizionato dall’architettura che lo circonda: i sensi e la percezione umani sono maggiormente stimolati da un ambiente luminoso e dinamico che da uno grigio e statico, il che inevitabilmente influisce su ogni nostra attività.
– Guardando il tuo sito -www.eleonoranicoletti.com- mi hanno colpito molto i progetti Dancing Screen e Rainbow Pavilion: ce li puoi descrivere?
Il Dancing Screen, utilizzabile per dividere spazi, illuminarli ed ombreggiarli, è uno schermo architettonico il cui prototipo è stato esposto come opera d’arte in Michigan: è una superficie dinamica il cui movimento è stato studiato per evocare una danza sinuosa. È stato utilizzato un materiale intelligente che accumula la luce ambientale per riemetterla anche al buio; inoltre, grazie all’effetto fotovoltaico, lo schermo genera energia elettrica dal sole, permettendo di ricaricare dispositivi elettronici, come cellulari e tablet. Ho cercato di coniugare l’utile ad un’opera visivamente stimolante.
Il Rainbow Pavilion è uno studio di architettura leggera che funge da stazione di ricarica generante energia elettrica, direttamente utilizzabile, dal sole. Si presenta come un padiglione ricoperto da una membrana integrata con moduli fotovoltaici e con un arcobaleno di cavi elettroluminescenti, realizzata con una tecnologia analoga a quella del Dancing Screen. Il padiglione s’illumina grazie all’energia prodotta dai moduli fotovoltaici, accumulata nella base, dove i visitatori possono sostare per ricaricare i propri dispositivi.
Ho realizzato le mie opere da sola, dovendo ampliare le mie conoscenze nell’ambito dell’elettronica; è stato molto stimolante, anche perché vari esperti mi dicevano che non sapevano se fosse mai stato realizzato nulla di simile, perciò ho dovuto testare tutto.
– Come realizzi un progetto?
La prima fase è quella di studio, poiché già quando presenti il concept devi avere una buona conoscenza della materia. Lo studio va integrato con una serie di conoscenze interdisciplinari da approfondire ulteriormente anche dopo l’approvazione del progetto.
– Prossimo obiettivo lavorativo?
Sto realizzando una struttura ultraleggera autoportante che sarà usata come scenografia in un’opera contemporanea. Nonostante sia alta circa tre metri, la struttura peserà pochissimi chili e sarà costruita con materiale riciclato.
– In un articolo del Corriere della Sera del 26/03/2014 si afferma che “Non c’è architettura senza filosofia”, cioè la pratica artistica dell’architettura non può prescindere dalla teoria e dal mestiere: cosa ne pensi?
L’architettura, già dalla parola stessa, esprime il principio di dare forma allo spazio.
Dare ordine allo spazio non può prescindere da uno studio della filosofia. Questa infatti, è lo studio del pensiero e della comunicazione; l’architettura è comunicazione.
– L. Wittengestein diceva che ‘l’architettura è un gesto’, e che vi è “somiglianza di famiglia” fra filosofia e architettura perché «quando costruiamo case, parliamo e scriviamo»: come pensi la Filosofia possa far parte dell’architettura?
L’architettura comunica: non puoi non vederla e non esserne influenzato. Inoltre, nel progettare e costruire, utilizziamo il pensiero e la scrittura: è grazie allo studio, dunque al pensiero che possiamo creare con consapevolezza.
– Cosa consiglieresti ad un giovane che vuole ‘scoprire’, elaborare nuovi progetti al giorno d’oggi?
Credo sia importante che siano spinti dalla curiosità e dalla voglia di ricercare alternative.
Attualmente i più cercano di venderti la loro soluzione come se fosse la migliore. Per me, è più stimolante esplorare le alternative esistenti e proporre applicazioni innovative.
– La Filosofia a scuola ti piaceva? Cosa pensi di questa materia all’interno della nostra società?
La adoravo. La filosofia dovrebbe essere insegnata ovunque, a prescindere dalla specializzazione, poiché la reputo necessaria per qualsiasi tipo di disciplina; infatti allena la logica e apre la mente.
Eleonora è il classico esempio di comunione di elementi necessari per il successo: creatività, testardaggine, curiosità e coraggio.
Eleonora, attraverso i suoi progetti e le sue ricerche, ci dimostra quanto l’architettura sia pervasa dalla filosofia: non più un’architettura chiusa ed un uomo razionale e calcolante che crea, ma un nuovo rapporto individuo-natura, nel totale rispetto di quest’ultima.
La filosofia nell’architettura odierna coglie perfettamente il pensiero Husserliano, perché se l’architetto oggi vuole cogliere l’essenza funzionale di ciò che realizza, ciò significa
riscoprire un’esperienza originaria liberata da tutte le incrostazioni dell’intellettualismo e dei pregiudizi culturali, per cui è necessario mettere tra parentesi (epoché) il mondo con tutte le sue determinazioni e verità, con il fine di riscoprire il rapporto di inerenza che lo lega saldamente all’io.
La fenomenologia Husserliana, molto evidente nello scopo delle ricerche di Eleonora, tralascia il mondo inteso come mero strumento funzionale, per riconsiderarlo nella coscienza, che è sempre coscienza di qualche cosa che non è un estraneo, ma fa tutt’uno con la coscienza che la pensa, dunque con l’architetto.
Grazie Eleonora per questa bellissima intervista!
Seguitela sul Web!
Sito: www.eleonoranicoletti.com
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