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Everyday aesthetics: tutto è arte?

Nella storia dell’estetica, molti furono i movimenti artistici che cambiarono la percezione estetica, uno dei più influenti fu la Pop art. L’esponente di riferimento della nuova arte è Andy Warhol: attraverso la sua celebre opera intitolata Campbell’s Soup Cans, spostò lo sguardo estetico verso un oggetto quotidiano che veniva elevato a simbolo di consumo. Si stabiliva una teoria estetica diversa dalla concezione classica di opera d’arte che Winckelmann definiva con la formula del “bello ideale”. Nella modernità l’arte entra nel processo di industrializzazione avvicinandosi e alle volte confondendosi con la pubblicità. Percorso che il filosofo Walter Benjamin, aveva già profetizzato nel 1936 nel famoso scritto L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Nella prima metà del Novecento l’arte non si era del tutto separata dai canoni della classicità e rimaneva un residuo dell’idea di bellezza con cui Platone descriveva l’opera d’arte: «la bellezza è percepita dai sensi, ma è la mente che la riconosce come tale e la comprende, anche se così i sensi diventano meno ricettivi, e però più giusti, rispetto alle cose»1.

Questo paradigma venne a scardinarsi lentamente grazie agli artisti dell’Espressionismo astratto come Kandinskij o Mondrian. Nel perpetuarsi dell’idea platonica, Warhol proponeva un classicismo industrializzato, in cui l’io dell’ astrattismo veniva negato, reificato e re-introdotto il gesto ripetibile dell’artista come perno dell’opera. L’arte si immetteva lentamente nel nascente movimento del postmodernismo, confluendo nella tecnica del kitsch. In quel momento Warhol ebbe la meglio: «laddove il capitalismo sempre meno legato alla produzione e sempre più identifico con la finanza, cerca il massimo profitto nel minor tempo, l’arte pop sempre meno vincolata all’idea di un’arte autonoma e sempre più concepita all’interno della sua commensurabilità estetica trova la sua cifra nel concepire i propri significati con il significante più immediato»2.

Nell’epoca contemporanea, all’interno del contesto della globalizzazione, si assiste a un fenomeno artistico particolare, in cui si rafforza sempre di più la considerazione che tutto ciò che ci circonda sia estetica o arte. Le nostre vite, infatti, sono immerse in una estetica indiscriminata: per cui cibo, sport e moda diventano oggetti d’arte. Inoltre, a favore di questo processo agiscono i social network che si avvalgono di meccanismi che permettono di fotografare la realtà rendendola estetica. Anche il nostro linguaggio è sempre più legato all’esperienza estetica, si fa sempre più uso di termini come: “tutto è arte” , che sono la prova di questa estetizzazione. La linea di demarcazione, nella quotidianità, tra ciò che è estetico e ciò che non lo è diviene confusa. E’ difficile indagare circa l’autenticità dell’opera d’arte in un contesto in cui i punti di riferimento si stanno pian piano dissolvendo. L’estetica quotidiana diventa, quindi, una sub-disciplina filosofica che comprende infiniti temi (tra cui l’ambiente e il corpo) spostando il focus dell’estetica occidentale dall’idea di bellezza a un’esperienza estetica della realtà. L’impiego del corpo come parte dell’esperienza estetica, porta a riflettere sulla validità pragmatica di questi oggetti o attività artistiche. La discussione sull’esperienza, o meglio, sul fare un’esperienza estetica, dimostra che quest’ultima è possibile in ogni ambito della vita quotidiana. È all’interno di una esperienza, secondo John Dewey, che si ha la componente estetica e non nell’oggetto artistico3.

Ecco che sempre più si crea un ambito di ricerca estetica ampio, che si allarga inglobando anche l’arte interattiva. Ovvero quelle installazioni artistiche concepite per una vera esperienza, in cui uomo e oggetto dialogano tra loro. E’ il caso del Museo delle Illusioni, in cui ad essere coinvolto è lo spettatore e l’oggetto artistico, quest’ultimo di uso quotidiano (come specchi e sedie) . Se l’ambito di ricerca appartenente a questo nuovo movimento estetico non è ancora del tutto definito, poiché il “quotidiano” comprende vasti argomenti da analizzare, a cosa può servire questa nuova estetica del reale? Dato il suo carattere pratico nella quotidianità, è possibile teorizzare una estetica che possa migliorare la nostra qualità di vita, una pratica già conosciuta nella filosofia orientale, che si attua andando alla ricerca del miglior modo di vivere e del benessere, fino al raggiungimento della felicità. Una felicità come fine ultimo dell’uomo, che si sviluppa in vari modi di agire (cura del corpo, vacanza, sport) volti a creare un porto sicuro in una società frenetica e in continuo mutamento.

 

NOTE
1. Cfr. A. Mecacci, Dopo Warhol: il pop, il postmoderno, l’estetica diffusa, Donzelli, 2017.
2. Cfr. ivi.
3. Cfr. https://plato.stanford.edu/entries/aesthetics-of-everyday/.
Photo credit Girl with red hat via Unsplash

 

Francesca Baroni
Classe 1998, attualmente frequenta la magistrale in Scienze Filosofiche presso l’università di Pisa. I suoi principali interessi filosofici ruotano attorno all’estetica e alla fenomenologia. Inoltre, è appassionata di poesie, pertanto le divulga tramite i social media in modo che possano essere fruibili a tutti.

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