La scuola italiana vive forse uno dei momenti più paradossali della sua storia. Le classi pollaio coesistono con l’investimento di ingenti fondi per l’acquisto di visori, lim e arredamenti aule 4.0. L’esaltazione del valore dell’inclusione convive con la cronica insufficienza di insegnanti di sostegno. La centralità della didattica per competenze si risolve spesso in slogan, che non generano reali mutamenti nella prassi didattica. Soprattutto nella secondaria di secondo grado, la maggioranza dei docenti continua a praticare un insegnamento tradizionale, anche a causa dei tempi sempre più esigui concessi al monte ore disciplinare eroso da attività aggiuntive di vario genere.
Le contraddizioni del nostro sistema scolastico sono ben visibili. Molti i riformatori ad aver proposto soluzioni “radicali”. Nessuno però tra i governi di sinistra, di centro o di destra è riuscito a portare reali miglioramenti. Non che non siano state disposte risorse, ma manca una visione organica su come usarle.
Intanto, in questo stato di cose caotico un leitmotiv costante sono gli attacchi più o meno diretti ai docenti. Gli insegnanti sono accusati di incompetenza, di pigrizia, di non saper attirare l’attenzione degli alunni. Da Galimberti a Crepet, dai pedagogisti ai ministri, dagli alunni alle famiglie si denuncia l’assenza di carisma. Dove sono i John Keating? Dove sono i Socrate? Dove è l’eros ne L’ora di lezione1?
Insomma, nonostante vi siano oscillazioni e analisi più oggettive dei problemi della scuola italiana, il capro espiatorio tende ad essere l’insegnante.
Queste accuse ripetute, che a volte sfociano in aggressioni fisiche e verbali da parte di alunni e dei genitori, alimentano nei docenti un senso di frustrazione, di sfiducia e di impotenza. Chi vive dall’interno il mondo scolastico sente di non riuscire a incidere in modo significativo, avverte soprattutto una profonda solitudine.
Quasi a voler reagire all’insignificanza cui li confina l’opinione pubblica, diversi docenti decidono di fare rete sui social, di diventare content creator o addirittura influencer.
Il fenomeno è interessante, ma presenta delle insidie. Da una parte, grazie al web, docenti di tutta Italia possono condividere problemi, riflessioni ed esperienze didattiche. I social consentono collaborazioni prima impensabili, e questo è indubbiamente un aspetto positivo. Allo stesso modo è innegabile che la produzione di contenuti caricati da insegnanti su YouTube o su altre piattaforme costituisca ormai per i ragazzi un prezioso aiuto nello studio domestico.
D’altra parte, accanto a queste ricadute virtuose della “socializzazione” della scuola, inizia a farsi strada una nuova figura di educatore: il docente influencer.
Si potrebbe pensare a un epifenomeno della nostra “società dello spettacolo”2. I social pullulano di influencer puri e spuri (influencer divulgatore, influencer culinario, ecc.): quale preoccupazione potrebbe suscitare la diffusione dei professori influencer?
Il professore influencer si mette in scena sui social. Costruisce, come ogni buon influencer che si rispetti, un accurato storytelling. Fa brevi reel in classe per mostrare le sue competenze didattiche e le proprie doti di comunicatore; crea, alimenta e intrattiene la sua community con post e pillole di saggezza e di conoscenza. Ironizza o drammatizza sui problemi della scuola. In breve, compie, rispetto al mondo scolastico, quanto fa un qualsiasi influencer: spettacolarizza, ossia porta nell’assoluta visibilità dello schermo una narrazione di sé volta all’autopromozione.
I docenti influencer si propongono infatti come modello, come exemplum da seguire. Tutto in loro brilla, perfino i difetti. Eppure, in questa esaltazione generalizzata dell’ego ho l’impressione che si dimentichi l’essenziale. Svaniscono gli alunni con le loro fragilità e le loro incertezze, con la loro rabbia e il loro disagio. Sparisce il non detto, l’incomprensione intrinseca di ogni relazione umana e dunque anche educativa. I problemi della scuola si allontanano dietro le quinte della scena.
Come accade di frequente sui social, le narrazioni dei docenti influencer tendono a semplificare e a edulcorare la realtà. Si inizia a credere che essi siano la panacea di tutti i mali. “Basterebbero più prof. come loro”, si pensa. Si potrebbe allora affermare che con il professore influencer si sta aprendo un nuovo capitolo della figura dei docenti: “il docente e il suo doppio”, dove la scuola fantasmata prende il sopravvento sulla scuola reale. Direbbe Clément Rosset:
«Per quanto la realtà si offra alla percezione, non si riesce a percepirla o è percepita deformata. Si è completamente presi dai fantasmi della propria immaginazione e del proprio desiderio» (C. Rosset, L’école du réel, Paris, Les éditions de Minuit, 2008, ed. digitale. Tradizione italiana a mia cura).
NOTE
1. Cfr. M. Recalcati, L’ora di lezione, Torino, Einaudi, 2014.
2. Cfr. G. Debord, La società dello spettacolo (1967), a cura di C. Freccero, Milano, Dalai editore, 2013.
[Photo credit Tra Nguyen via Unsplash]
Salvatore Grandone
Insegna Filosofia e Storia nei licei. Ha conseguito due dottorati di ricerca in Scienze filosofiche (Università di Napoli Federico II) e in Lettres et Arts (Università Stendhal Grenoble III). Ha pubblicato diversi volumi in lingua italiana e francese. Tra i suoi saggi più recenti si segnalano L’esercizio del pensiero (Diarkos 2020) e Duelli filosofici (Diarkos 2022).