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Favolacce: morire basta per rinascere?

Favolacce (2020) dei fratelli D’Innocenzo è un’opera complessa da definire, una favola nera in cui non vi sono eroi e forse neanche dei veri e propri cattivi; una favola oscura che ci porta all’interno di una realtà sospesa tra l’assurdo e l’onirico.

Pur essendo l’opera ambientata ai giorni nostri sembra di trovarsi in un limbo, i personaggi sono incapaci di ogni tipo d’azione – e anzi, gli adulti che si sono assuefatti alla realtà ne sono incapaci, ma chi agisce sono i bambini o meglio i quasi adolescenti: sono gli unici che riescono a concepire un’estrema via di fuga e (forse) consapevolmente prendono un’estrema decisione. Nel finale la voce narrante legge alcune parole dal diario di una giovane protagonista affermando di essere dispiaciuta di aver raccontato una storia al limite dell’assurdo, ma ora il tragico finale ci “riporterà a iniziare da zero”.

Ma è davvero la morte l’unica soluzione per poter rinascere? La morte delle nuove generazioni sembra essere ciò che riesce a purificare le vite ormai perdute dei genitori, una redenzione non richiesta, ma essenziale. I genitori che hanno condannato a morte inconsapevolmente i propri figli attraverso la loro infelicità e incomprensione sembra vengano condannati alla sofferenza, ma attraverso questa assolti.

Eppure la morte non basta, perché il ciclo delle vite dannate e assuefatte continua e lo si nota nelle ultime immagini che raffigurano un ennesimo dramma familiare.

Ma se neanche morire è sufficiente, come si può rinascere dalle ceneri del proprio fallimento? Il triste messaggio dell’opera è ciò che spaventa di più ascoltare e vedere: la realtà è senza scampo e per quanto si voglia cercare di fuggirne essa è pronta nuovamente a tendere un agguato, le ceneri che ci portiamo dentro saranno la nostra cicatrice eterna. Si può scegliere di morire prima di essere assuefatti da una realtà che ci priva della nostra sensibilità, come fanno i giovani protagonisti, o si può scegliere di non scegliere e agire come i genitori.

In un noto romanzo di Günter Gräss, Il tamburo di latta, il giovane protagonista rifiuta la sua realtà su cui incombe la minaccia del nazionalsocialismo e decide di provocarsi un danno fisico per non crescere più e di non esprimersi se non attraverso il suono del suo tamburo di latta. La scelta del protagonista è dovuta al fatto che egli afferma di non voler vivere in un modo dove l’individualità è scomparsa, dove non vi sono più eroi o rivoluzionari, ma solo coloro che hanno deciso acriticamente di vivere una realtà in cui non sono più protagonisti, ma spettatori. Ciò che pensa il giovane protagonista del romanzo descrive esattamente quello che è il messaggio che i giovani protagonisti di Favolacce vogliono passi attraverso lo schermo: si deve lasciare la scena prima di diventare privi di sensibilità e delle grandi qualità umane da romanzo quali l’ambizione, l’umanità, l’empatia.

I genitori dei giovani protagonisti sono affetti da una malattia tipica dell’età moderna: la continua ricerca di qualcosa che superi ciò che già si possiede. Sono incapaci di prendersi la responsabilità delle proprie scelte e talmente incentrati su sé stessi che diventano cechi di fronte alle esigenze dei propri figli, tanto da non riuscire a vedere ciò che accade alla luce del sole dinanzi ai loro occhi.

I genitori mancano di empatia perché concentrati sulla propria insoddisfazione ed eterna sensazione di non essere mai abbastanza, una terribile sensazione di “normalità” sembra li assalga. Sono incapaci di ambizione perché inconsciamente non vogliono uscire dal microcosmo di una provincia immaginaria troppo reale e asfissiante di cui fanno parte, l’atto estremo dei bambini è un atto di ribellione, la ribellione è un sentimento forte che si cela dietro anche gesti estremi. La morte come ribellione è un concetto difficile e forse a tratti paradossale, la ribellione intesa come azione qui si trasforma in un atto che pone fine ad ogni azione. L’umanità e la paura dei giovani protagonisti è tangibile quando poco prima dell’atto estremo una lacrima riga un volto; è straziante che siano così indifesi e soli e per questo disperatamente costretti ad agire.

Favolacce è una parabola amara che cattura l’attenzione dello spettatore, lo trasporta in una storia macabra, oscura, simile a un incubo e forse ciò che spaventa di più è che sia in effetti reale, troppo reale. Non c’è risposta alle domande dello spettatore che deve accettare che a volte bisogna soltanto riflettere e osservare; la grandezza di un’opera d’arte sta nel suscitare domande che non hanno risposta e spingerci oltre il nostro piccolo microcosmo: in questa prospettiva Favolacce è sicuramente un’opera eccezionale.

 

Francesca Peluso

 

[immagine tratta dal film]

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Francesca Peluso

Francesca Peluso

Curiosa, empatica, determinata

Sono Francesca Peluso, attualmente vivo a Firenze e lavoro nell’ambito HR come recruiter, sono laureata in filosofia morale all’Università di Pisa e ho sempre avuto una grande passione per la scrittura. La scrittura per me è una continua scoperta e rappresenta lo strumento con cui capisco il mondo e riesco a vederlo criticamente. Amo il […]

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