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Fenomenologia dell’aperitivo e del vivere fuori

“L’uomo è ciò che mangia.

Mann ist, was er isst”

Ludwig Feurbach

Come cambia il nostro tessuto urbano? Bar, pizzerie, focaccerie, creperie e così via hanno invaso le strade e le piazze. In Italia, infatti, si ha spesso la sensazione che siano cresciuti a dismisura tutti quegli esercizi pubblici che offrono cibo e bibite in modo informale, quei locali dove si può mangiare a qualsiasi ora un trancio di pizza oppure una focaccia farcita.

Ancora di più sono nati e si sono moltiplicati i luoghi che offrono aperitivi, quasi sempre alcolici, accompagnati da una robusta scelta di pizzette, pasta fredda, noccioline, patatine e piccole frittate, luoghi dove, fingendo di prendere un aperitivo, in realtà si può cenare a un costo inferiore rispetto a quello di un qualsiasi ristorante. Soprattutto questi locali da aperitivo, verso sera, sono gremiti di giovani, sono un luogo di ritrovo per organizzare la serata. Le pizzerie, invece, sono più frequentate da stranieri nelle città turistiche e, altrove, da italiani adulti che mangiano lì piuttosto che a casa.

“L’essere è il soggetto, il pensiero il predicato: ciò significa che secondo Feuerbach l’idea è un riflesso del mondo e non il contrario.”

Roger Garaudy

Assistiamo a una rivoluzione silenziosa, ma non poco significativa perché cambiano il paesaggio delle nostre Città e il nostro modo di vivere. Una rivoluzione che pone molti interrogativi: come mai, in un momento di crisi come questo, mentre i giornali ci annunciano che si stanno contraendo anche i consumi alimentari, tante persone sono disposte a sborsare soldi per andare a mangiare fuori? Certo, si preferiscono locali a basso costo, dove comunque si spende di più che a casa. E come mai i giovani, in gran parte disoccupati, che non guadagnano e vivono a carico delle famiglie oltre i 30 anni, si possono permettere tali spese? La risposta non è ovviamente semplice. Probabilmente la tendenza a “vivere fuori” ha a che fare con la crisi della famiglia e con l’aumento dei single, che escono per sfuggire alla solitudine. Ma dipende anche dal fatto che molte ragazze e ragazzi oggi non lavorano e quindi la sera  non devono rincasare presto, sono liberi di andare in giro e fare tardi. La nostra società ha privato del futuro le nuove generazioni che, prigioniere di un presente che non passa, si ritrovano costrette a una perenne adolescenza forzata. E non è un caso che il modello dei locali da aperitivo si stia estendendo, con i loro cibi veloci ed economici, e siano frequentati soprattutto da adulti. E’ difficile che chi ha figli piccoli esca a mangiare, perché in fondo l’esperienza si presenta faticosa, e i bambini sono più facili da gestire a casa, con i loro giochi, i loro cibi usuali e, soprattutto, la televisione.

L’abitudine a “mangiare e vivere fuori” è segno di una società senza bambini, quindi con poco interesse per una vita familiare, e rivela una radicata abitudine al consumo, che probabilmente in passato si realizzava attraverso spese impegnative: dai ristoranti ai viaggi, dalle moto ai vestiti firmati. Ora che si compra più volentieri all’outlet e si viaggia poco frequentare luoghi di aggregazione come bar e chioschi sembra rimasto l’unico sfogo dell’abitudine al consumo.

Certo anche questi nuovi esercizi creano posti di lavoro, probabilmente molto poco pagati, e sono un modo come un altro per far girare l’economia. Se però ci pensiamo bene essi evidenziano la scarsa inventiva della nostra società che non produce niente di nuovo, ma si limita ad allargare un po’ la possibilità di spesa a basso livello; una spesa che contrae il risparmio, il quale in pochi anni è passato dall’essere una virtù a rappresentare uno dei peccati capitali dei nostri tempi, la fine della progettazione futura, degli investimenti produttivi. In altre parole questi “nuovi” locali che invadono i nostri centri abitati sembrano solo segnalare che abbiamo un popolo che vive “a basso cabotaggio” e cerca vie facili per dimenticare le difficoltà del presente.

Vi lascio con una famosa favola di Esopo, adattata poi da Jean de La Fontaine:

“Durante l’estate la formica lavorava duramente, mettendosi da parte le provviste per l’inverno. Invece la cicala non faceva altro che cantare tutto il giorno. Poi arrivò l’inverno e la formica ebbe di che nutrirsi, dato che durante l’estate aveva accumulato molto cibo. La cicala cominciò a sentire i morsi della fame, perciò andò dalla formica a chiederle se potesse darle qualcosa da mangiare. La formica le disse: «Io ho lavorato duramente per ottenere questo; e tu, invece, che cosa hai fatto durante l’estate?» «Ho cantato» rispose la cicala. La formica allora esclamò: «E allora adesso balla!»”

 

Matteo Montagner

[immagini tratte da Google Immagini]

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