Eravamo tutti e tutte così presi dal 25 aprile, cercando di capire chi come e cosa l’avrebbero festeggiato, che ci siamo quasi persi un’altra data in calendario degnissima di essere dibattuta: il primo maggio.
Come l’avete trascorso? Molte persone avranno fatto una gita fuori porta, visitato dei monumenti, fatto grigliate o pranzi in compagnia. Un intero sistema di festa che ha funzionato grazie al lavoro di milioni di persone che questo privilegio non l’hanno avuto. Tutti gli uffici e i luoghi di produzione erano chiusi, ma che dire delle strutture ricettive? Oggi i giornali cartacei non usciranno perché ieri non hanno lavorato, ma vale lo stesso per tutto il mondo del giornalismo online? Il trasporto pubblico locale in tanti contesti si è fermato, ma l’hanno fatto anche le tratte aeree e le ferrovie? La posta non è stata consegnata, la spazzatura non è stata ritirata, ma chi ha permesso le gite fuori porta, il pranzo fuori casa, l’intrattenimento? Per non parlare dei pronto soccorso e delle guardie mediche. E stendiamo un velo pietoso sul popolo delle partite IVA, per le quali né lo Stato né Dio possono fermare una produttività imposta da un sistema malato. Sorvoliamo anche sulle casalinghe (e i pochissimi casalinghi), il cui duro impegno giornaliero non è nemmeno degno di un riconoscimento economico basic, e tanti altri lavoratori e lavoratrici che non vi è spazio di citare.
Certo, non è che il mondo si possa fermare per un giorno. Giusto? Insomma, se uno cade dalle scale ha il sacrosanto diritto di avere un ospedale che lo accolga e che lo curi. Ma siamo proprio sicuri che tutti i servizi ieri aperti erano proprio necessari? I giorni rossi sul calendario oggi sono pause in una corsa frenetica verso un poco chiaro traguardo: un riposo necessario ma che meriterebbe anche un briciolo di riflessione. Quanto ci siamo accapigliati i giorni prima del 25 aprile sulla presenza o meno dell’antifascismo nella Costituzione, e quanto abbiamo poi festeggiato la Liberazione quando il fantomatico giorno è arrivato? E il primo maggio, quanto abbiamo approfittato in nome del nostro relax e della nostra festa delle persone che non hanno potuto godersi lo stesso diritto?
Questione annosa e spinosa quella del delicato equilibrio tra lavoro (dunque produttività, performance) e diritti all’interno di un sistema capitalista. Sicuramente sono stati fatti enormi passi avanti rispetto alla fine dell’Ottocento, periodo a cui risale l’istituzione di questa festività che unisce molti Paesi democratici del mondo. Ma quali voragini esistono tra quanto la stessa nostra Costituzione prevede, i sogni dei costituenti e delle costituenti scritti nero su bianco nel 1947! Le questioni su cui una rivoluzione culturale nel mondo del lavoro non è solo auspicabile ma anche necessaria sono infinite – benessere lavorativo, parità salariale, opportunità per i cittadini svantaggiati, lavoro in nero e caporalato, equilibrio tempo vita-lavoro, e potremmo andare avanti a lungo – ma soffermiamoci su una delle tante: quella femminile.
L’articolo 37 della Costituzione recita: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”. A che punto ci troviamo, a quasi 80 anni di distanza? I dati del 2022 ci mostrano un quadro italiano in cui il gender pay gap (la differenza di retribuzione lavorativa tra uomini e donne) è di circa il 20%1. In particolare il gap nella retribuzione oraria è del 5% ma sale fino al 18% in quella annua; sale anche quando si alza l’età della donna, il suo titolo di studio e il suo livello gerarchico, ed è anche più alto nei contratti a tempo indeterminato; senza contare che la percentuale di donne neet (cioè che non lavorano né studiano) è più elevata rispetto agli uomini (44,6% contro il 26,4%). A giustificazione di tutto questo, la letteratura scientifica offre innumerevoli studi sulle modalità con cui i bias cognitivi orientano il mondo del lavoro e delle assunzioni, confermati per esempio dalla piccola rivoluzione avvenuta nel mondo delle orchestre da quando negli anni Ottanta si sono cominciati a fare i provini “al buio”2.
Infine, la questione della genitorialità. In questo caso la società si sta sicuramente evolvendo verso un’equiparazione tra il ruolo di madre e di padre nella cura dei figli. Forse in questo caso ancora più della legge: dal 2022 il congedo parentale per gli uomini (retribuito al 100%) sale da 4 a 10 giorni, mentre per le donne resta di 5 mesi. Una novità che è una conquista, ma lo squilibrio salta ancora all’occhio e dimostra un diverso modo di pensare al lavoro in base al genere. Una prima riflessione per un’inversione di rotta è auspicabile, e magari si può partire proprio dal nostro ufficio o azienda o negozio, forse proprio dalla nostra famiglia. Magari proprio il primo maggio, ma anche il due, il tre e il quattro…
NOTE:
1 – https://alleyoop.ilsole24ore.com/2022/09/19/cosa-sappiamo-e-cosa-non-sappiamo-sul-gender-pay-gap/#_ftn1
2 – https://www.theguardian.com/women-in-leadership/2013/oct/14/blind-auditions-orchestras-gender-bias
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