«In ogni caso l’essere è più del dire»1. Questo è il verso finale di una delle poesie più rappresentative del poeta ligure Giovanni Giudici (1924-2011). Ogni volta che la leggo mi chiedo quale sia la sostanziale differenza tra la filosofia e la poesia, tra un filosofo e un poeta. E ogni volta questo punto di domanda definisce e allo stesso tempo sospende il mio giudizio perché assume il sapore di una questione metafisica, di una questione aperta.
In cosa sono diversi un poeta e un filosofo? E se lo sono, perché?
A Platone si attesta la decisione di aver scacciato i poeti dalla città ideale stabilendo definitivamente la scissione tra filosofia e poesia, come fa sostenere da Socrate nel dialogo Ione e nel X libro della Repubblica. Il filosofo ha il compito di ricercare la verità del mondo sul piano della scienza (epistème) in modo da poter elaborare una teoria della conoscenza, mentre il poeta, anteponendo il sentimento, cioè il percepire, al pensiero, imita (mimesi) la realtà. Il fondamento della poesia è l’ispirazione divina che i poeti (a esempio Omero) ricevono dalle Muse per cantare le gesta degli eroi e narrare fatti inverosimili che alla fine diseducano i giovani. Il poeta essenzialmente percepisce e imita una realtà irrazionale, diversamente dal filosofo che sta razionalmente nel mondo. Diversa invece è l’interpretazione data da Aristotele, perché secondo lo Stagirita la poesia narra le cose più universali, i fatti accaduti tramite l’imitazione del reale e per questo classifica l’arte poetica, cioè l’arte del fare, come la forma più alta di arte.
L’interpretazione della figura del poeta data da Platone ha perso la sua forza argomentativa nel corso del tempo perché è cambiato il modo di vedere il ruolo del poeta, anche se viene considerato dai più come qualcuno di poco pratico (ma questo vale anche per la percezione che molti hanno dei filosofi). Se ci avviciniamo alla lettura del pensiero e delle opere di Hölderlin, Leopardi e Nietzsche ritorna problematico stabilire la sostanziale differenza tra filosofia e poesia, perché il dire poetico porta con sé sia punti di domanda filosofici – che diventano un altro modo per interrogare la natura umana in relazione all’esperienza intellettiva, sociale ed emotiva che si fa del reale – sia riflessioni sul limite, sul vivere il confine tra la ragione e il sentimento: «Resta saldo, mio cuore ardito, non chiedere perché» (F. Nietzsche, Il sole declina, in Le Poesie, Einaudi, 2008).
Per Heidegger2 la poesia di Hölderlin ha manifestato la problematicità dell’esserci, del sentirsi disorientati e della misera condizione umana facendo della parola poetica un colloquio tra gli esseri umani reso possibile dagli dèi che giungono al nostro linguaggio. Solo la poesia ha questo potere di entrare nel linguaggio, nella condizione dell’ascoltarci l’un l’altro.
Un altro esempio di come il poeta vestirebbe anche i panni del filosofo possiamo trovarlo nell’Infinito di Leopardi, in cui è possibile rintracciare la kantiana questione del limite filosofico. La siepe, qualcosa di fisico, di naturalmente visibile, diventa metafora metafisica per immaginare qualcosa che è solo pensabile ma non conoscibile, come il noumeno che entra in una dimensione altra. E per potere immaginare l’infinito il poeta si abbandona al pensiero e accetta la sua condizione che lo spaventa ma al tempo stesso lo rende consapevole dell’unicità della mente umana: pensare qualcosa di intangibile. Questo atteggiamento è il confine sul quale si incontrano sia la filosofia che la poesia per poi seguire il cammino in direzioni apparentemente diverse, perché il filosofo interroga la ragione sul suo potere di conoscere e riconoscere le verità che si danno con chiarezza ed evidenza. Al poeta, invece, non possiamo domandare «la formula che mondi possa aprirti» (Montale, Ossi di seppia).
Il poeta confessa la sua presenza nel mondo e spera che possa essere compresa da tutti, perché anche se ognuno vive a suo modo, l’esperienza del vivere è comune a tutti. Il filosofo è spinto dalla curiosità di ricercare le cause della realtà, di elaborare una propria visione del mondo che possa essere accettata da tutti perché suo scopo è quello di riordinare le categorie del mondo. E allora questo dialogo tra filosofia e poesia sembra vivere quasi in un rapporto dialettico, dove le due identità si superano senza annullarsi, dove quello che un filosofo desidera conoscere un poeta può “fingersi” nel pensiero.
Anche se la filosofia e la poesia hanno socialmente ruoli diversi, la questione metafisica dell’essere si fa sempre domanda e questa domanda crea una crisi per entrambi perché sappiamo di essere solo stelle nell’immensità del cielo.
NOTE
1. La vita in versi, titolo della poesia che dà il nome alla raccolta pubblicata nel 1965 da Mondadori.
2. Cfr. M. Heidegger, La poesia di Hölderlin, Adelphi, 1988.
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